Scuola di Teologia 
     "Nostra Regina dei Santi"
       Via Giovanni XXXIII 18, CARDE', 12030, CUNEO, Italia

    è un’opportunità per
-   migliorare la propria formazione religiosa
-   comprendere quello che la Chiesa insegna
-   approfondire la vita spirituale
-   qualificare il proprio servizio in Parrocchia
-   aiutare altri nel cammino della fede
-   imparare a dialogare con chi non crede.
 

 

 QUARESIMA E SETTIMANA SANTA 

 

 Il significato della Quaresima 

Piccolo corso su l'introduzione all'Ecclesiologia

                                                          INTRODUZIONE ALL’ECCLESIOLOGIA

9 marzo 2025 – mons. Jhoseph

 

INTRODUZIONE ALL’ECCLESIOLOGIA

 

Il nostro è un corso che si occupa del mistero della Chiesa. Certamente saranno solo i primi e pochi elementi data la brevità del nostro incontro. Non possiamo pretendere di esaurire un argomento veramente così vasto. Parlare di ecclesiologia è parlare della nostra vita come cristiani. 

La parola introduzione indica l’avviamento, l’inserimento di qualcuno o di qualcosa all’interno di uno spazio o ambito definito.

 

La parola ecclesiologia indica lo studio sistematico di tutto ciò che riguarda la Chiesa. Deriva dalla parola greca ἐκκλησία (ekklesίa), nel mondo classico e in ambito politico indica un’assemblea di cittadini convocata per questioni civili; era l’assemblea della città, pólis

Nel Nuovo Testamento si precisa con il significato di comunità dei cristiani. 

Alcuni fra gli aspetti importanti dell’ecclesiologia sono:

  • Strutture dell’ecclesiologia nella Sacra Scrittura: ecclesiologia veterotestamentaria ed ecclesiologia neotestamentaria.
  • La Chiesa e lo sviluppo storico-dogmatico.
  • La Chiesa come segno e strumento di salvezza.
  • Le 4 caratteristiche essenziali della Chiesa consegnate nel Simbolo Apostolico e poi nel Niceno-Costantinopolitano (il Credo che è professiamo nelle celebrazioni): una, santa, cattolica, apostolica.

L’oggetto dell’ecclesiologia è l’essere (identità) e il ruolo (compito, missione) della Chiesa nel mondo e dei cristiani all’interno di essa. 

L’ecclesiologia si orienta sulla scia dei documenti conciliari: la Lumen gentium e la Gaudium et spes. Con l’ecclesiologia abbiamo una riflessione metodica e critica sulla Chiesa, la quale vivendo nella storia, subisce trasformazioni che richiedono di essere giustificate in rapporto sia al suo momento sorgivo e fondativo, mediato dai testi del Nuovo Testamento, sia alle situazioni storiche. Le trasformazioni che avvengono nella comunità dei credenti, si realizzano mediante modelli, immagini, concetti, categorie, mutuati dalla cultura circostante, scelti per esplicitare la coscienza che la Chiesa ha della sua realtà in un determinato tempo. 

L’ecclesiologia è d’importanza fondamentale per chiunque si voglia impegnare in un ministero pastorale di qualsiasi genere. I problemi ecclesiologici irrompono del continuo nel ministero pastorale. Che tipo di «corpo» è la Chiesa? L’ecclesiologia è quel settore della teologia che cerca di fornire una giustificazione teorica a un’istituzione che ha subìto sviluppi e cambiamenti nel corso dei secoli, in contrapposizione a un contesto sociale e politico in continuo mutamento. 

Il termine Chiesa deriva dal latino ecclesĭa, che a sua volta origina dal greco classico ἐκκλησία (ekklēsía).

In greco, per ecclesίa si intendeva un’assemblea politica, militare o civile. A monte sta il verbo ἐκκαλέω, che significa «io chiamo», «mando a chiamare», «faccio appello a», «convoco». La convocazione di un’assemblea come è nell’AT la qāhāl (adunanza religiosa o politica), l’adunanza del popolo ebraico, o nel NT συναγωγή (sunagōgē), «adunanza», «assemblea», da cui deriva «sinagoga» quasi mai adoperato nel NT con riferimento ai cristiani, perché già indicava la comunità giudaica e il suo luogo di culto.

L’ecclesiologia è una disciplina in movimento, perché́ il suo stesso oggetto intreccia passato, presente e futuro. La Chiesa ha il dono-compito di mantenere nei secoli l’identità̀ ricevuta da Cristo tramite la testimonianza degli apostoli (= credo la Chiesa apostolica), ma la Chiesa non è data tutta fatta al momento della sua fondazione, è come un seme che procede verso il compimento del Regno. La forma storica non la rende immune ai mutamenti (evolutivi o involutivi), che sono di fatto verificabili.

Possiamo così distinguere un’epoca in cui è prevalsa un’immagine piuttosto che l’altra, in cui la Chiesa è stata più misterica che imperiale, o più piramidale che sinodale. L’esigenza di una riforma nasce proprio quando la Chiesa si accorge che la sua forma storica va allontanandosi dall’ispirazione originaria, e accetta di mettersi in discussione. Chiesa semper reformanda! Il cammino progressivo della storia e l’azione dello Spirito, attraverso i carismi, manten­gono la Chiesa in un continuo movimento di riforma. 

 

Nel Vaticano II troviamo scritto: «La Chiesa ‘prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio’, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cf. 1 Cor 11, 26)» (LG 3). Con questa affermazione tocchiamo un altro punto importante per capire la natura della riforma ecclesiale. La Chiesa nasce da Gesù crocifisso e risorto, per cui la vita della Chiesa è chiamata ad avere un ritmo kenotico, seguendo e amando il Signore Cristo crocifisso e risorto nell’articolarsi interno, nell’amore reciproco, e nell’andare «fuori di sé», in missione. Non manca mai alla Chiesa la dinamica di morte e risurrezione. La fede ci fa riconoscere che, pur in mezzo alle contraddizioni e alle ferite, andiamo inevitabilmente verso la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Certi che tutto coopera al bene di quanti amano Dio (cf. Rm 8, 28), possiamo confidare perciò che, nello slancio di riforma, al di là delle cause seconde, è all’opera lo Spirito per provocare un ritmo continuo di morte e risurrezione, e così un rinnovamento, anzi una vera trasformazione della Chiesa, la Sposa che segue il suo unico Sposo.

La Chiesa è «semper reformanda»:

• poiché noi uomini siamo peccatori, la Chiesa ha sempre bisogno di un rinnovamento istituzionale;

• perché la Chiesa è inserita nella storia, in un cammino progressivo che prepara la venuta e la manifestazione definitiva del Risorto, abbiamo incessantemente bisogno di lasciarci rigenerare dalla Parola di Dio, dai sacramenti, e dalla luce nuova che sprigiona dai carismi;

• la dinamica di riforma non è semplicemente un impegno nostro. Non siamo noi a fare la Chiesa. La Chiesa stessa, di sua natura, è una realtà dinamica. È Cristo, lo Sposo della Chiesa, nella potenza dello Spirito Santo, che guida la sua Sposa verso la pienezza della verità, per farla diventare sempre più ciò che è: la Chiesa «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,27). Lo Spirito Santo è il protagonista di quella realtà dinamica, quindi, di continua riforma, anche grazie ai carismi elargiti sul popolo di Dio, che è la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Dopo il Vaticano II, come dopo ogni Concilio, si è aperto quello che viene chiamato il processo di recezione. Non si tratta solo di applicare alla lettera i documenti prodotti dal Concilio, ma si tratta di un processo di accoglienza viva di quanto l’evento conciliare, la primavera della Chiesa, ha portato. Il Vaticano II ha avuto, come sappiamo, un’intenzione pastorale e ha avviato un necessario rinnovamento ecclesiologico ed ecclesiale. Il rinnovamento ecclesiologico è stato incentrato sul concetto di popolo di Dio, quindi la recezione coinvolge tutti i soggetti ecclesiali con attenzione al valore delle Chiese locali, l’aggiornamento e l’inculturazione che rende la Chiesa effettivamente mondiale.

Tuttavia i documenti conciliari promulgati rimangono, senza dubbio, le pietre miliari, il punto di riferimento costante: senza di essi ogni discorso sulla recezione sarebbe privo di senso. Ciò appare più rilevante dopo 60 anni dalla conclusione del Concilio, mentre assistiamo a un cambio generazionale: non ci sono più i protagonisti dell’assise conciliare (i padri conciliari e i periti); scompare la generazione di chi ha vissuto in prima persona il mutamento conciliare e ne ha custodito fin ora la memoria; svanisce anche la voce di chi accogliendo la lezione conciliare si è adoperato per una profonda rielaborazione teologica. Dunque, per quanti sono nati dopo il Concilio i documenti costituiscono un punto di riferimento imprescindibile, una preziosa eredità ricevuta e da trasmettere, un faro anche per le future fasi di recezione.

Il 21 giugno 1963 il cardinale Giovanni Battista Montini succedeva a Papa Giovanni XXIII, il quale a pochi mesi dalla sua elezione, il 25 gennaio 1959, aveva annunciato a sorpresa il Concilio Vaticano II. Dopo una preparazione durata oltre due anni papa Giovanni aveva dato inizio al Concilio l’11 ottobre 1962 con il discorso Gaudet Mater Ecclesia. La Chiesa doveva presentare al mondo la fede di sempre con un linguaggio adatto all’uomo moderno. Il primo periodo conciliare si era chiuso senza molti successi, anche se papa Giovanni aveva favorito che i Padri si esprimessero con libertà. Un numero impressionante di documenti (72 testi) erano stati consegnati in aula ai Padri. Tanto che alcuni cardinali avevano pensato di redigere un programma del Concilio. Tuttavia verso la fine di novembre del 1962 si seppe che il Papa era affetto da una malattia incurabile. Papa Giovanni moriva il 3 giugno 1963 e gli succedeva Paolo VI. 

Ci sono testi che potrebbero dirci con sicurezza qual era il disegno che Paolo VI portava con sé salendo alla cattedra di Pietro. Prima di tutto, il discorso del 5 dicembre del 1962, passato alla storia col titolo: «Chiesa cosa dici di te stessa?», quando in aula conciliare il Cardinale di Milano proclamava davanti a un’assemblea attentissima quelle parole che facevano intravedere l’animo del futuro pontefice: 

«Che cos’è la Chiesa? Che cosa fa la Chiesa? Questi sono come i due cardini attorno a cui devono disporsi tutte le questioni di questo Concilio. Il mistero della Chiesa e il compito a essa affidato e che essa deve eseguire: ecco l’argomento a cui deve interessarsi il Concilio! Tutti, infatti, chiedono che la Chiesa, chiaramente e consapevolmente, proclami la sua natura, il compito eterno a essa affidato e la sua azione propria nel tempo odierno». 

Con grande passione e lucidità Montini articolava il piano del Concilio che è quasi una profezia dello svolgimento futuro dell’assise vaticana. Colpisce il fatto che il futuro Pontefice disegni con una precisione impressionante non solo il tema del Concilio, ma persino le sue fasi. Subito all’inizio afferma con chiarezza: «Il Concilio deve essere polarizzato intorno a un solo tema: la santa Chiesa». 

Il futuro Papa voleva che la Chiesa fosse però del tutto rivolta a Cristo. Indirizzare lo sguardo a Cristo: «Allora il Concilio deve cominciare con un pensiero a Gesù Cristo, nostro Signore. Egli deve apparire come il principio della Chiesa, che ne è l’emanazione e la continuazione. L’immagine di Gesù Cristo, come il Pantocratore delle Basiliche antiche deve dominare la sua Chiesa riunita d’intorno e dinanzi a Lui. Poi il Concilio deve concentrarsi sul “mistero della Chiesa”, per elaborare le dottrine su se stesso, sull’episcopato, sui sacerdoti, sui religiosi, sui laici, sulle varie espressioni della vita ecclesiastica, le età della vita, la gioventù, le donne». 

Alla fine concludeva: «Una terza sessione sarà necessaria, riguardante le relazioni della Chiesa con il mondo ch’è intorno, fuori e lontano da lei. E cioè: le relazioni con i fratelli separati; le relazioni con la società civile; le relazioni con il mondo della cultura, della scienza; le relazioni con il mondo del lavoro, dell’economia; le relazioni con le altre religioni»

Quando Paolo VI, il 21 giugno 1963, assunse l’eredità di papa Giovanni XXIII, certamente avrà ripensato a quella lettera – di pochi mesi prima – in cui tratteggiava la strada del Concilio. La primavera del Concilio che papa Giovanni XXIII aveva annunciato, ora trovava un sicuro interprete che l’avrebbe condotta a piena maturazione.

La Chiesa 

È opportuno dunque parlare della Chiesa a partire dai documenti. All’interno dell’intero corpus conciliare la Costituzione dogmatica Lumen Gentium (= LG) sulla Chiesa ha un posto particolare dato dal suo essere punto di convergenza di molti temi aperti dal Concilio. Un documento particolarmente complesso di cui non vedremo l’iter redazionale nel contesto della nostra lezione (rimando per questo al Commentario citato).

Il tema della Chiesa è al centro del Vaticano II poiché il Vaticano I non aveva potuto trattarlo in tutta la sua ampiezza e con tutta l’attenzione che meritava. Era necessaria una profonda riflessione sull’essere della Chiesa, sul suo ruolo nel mondo, la sua funzione e il suo significato nella storia della salvezza, il suo rapporto con i cristiani non cattolici, con i credenti di altre tradizioni religiose, con i non credenti e gli atei. La Chiesa che si trova a vivere un nuovo contesto storico doveva rispondere alla domanda formulata da Paolo VI: «Chiesa di Dio, cosa dici di te stessa? Quale è la tua professione di fede sul tuo essere e sulla tua missione?». Rispondendo a questa domanda la Chiesa esprime la coscienza di se stessa, la sua auto-comprensione. Ma in Lumen Gentium la riflessione sulla Chiesa non è solo autoreferenziale, non è collocata solo nel quadro del mistero trinitario di Dio ma è riferita al regno di Dio e al destino escatologico dell’umanità. 

 

Alla fine del Concilio Paolo VI affermerà: 

«Si dirà che il Concilio più che delle divine verità si è occupato principalmente della Chiesa, della sua natura, della sua composizione, della sua vocazione ecumenica, della sua attività apostolica e missionaria. Questa secolare società religiosa, che è la Chiesa, ha cercato di compiere un atto riflesso su se stessa, per conoscersi meglio, per meglio definirsi, e per disporre di conseguenza i suoi sentimenti e i suoi precetti. È vero. Ma questa introspezione non è stata fine a se stessa, non è stata atto di pura sapienza umana, di sola cultura terrena; la Chiesa si è raccolta nella sua intima coscienza spirituale, non per compiacersi di erudite analisi di psicologia religiosa o di storia delle sue esperienze, ovvero per dedicarsi a riaffermare i suoi diritti e a descrivere le sue leggi, ma per ritrovare in se stessa vivente ed operante, nello Spirito Santo, la parola di Cristo, e per scrutare più a fondo il mistero, cioè il disegno e la presenza di Dio sopra e dentro di sé, e per ravvivare in sé quella fede, ch’è il segreto della sua sicurezza e della sapienza, e quell’amore che la obbliga a cantare senza posa le lodi di Dio: cantare amantis est, dice S. Agostino (Serm. 336; P.L. 38, 1472). I documenti conciliari principalmente quelli sulla divina Rivelazione, sulla Liturgia, sulla Chiesa, sui Sacerdoti, sui Religiosi, sui Laici, lasciano chiaramente trasparire questa diretta e primaria intenzione religiosa, e dimostrano quanto sia limpida e fresca e ricca la vena spirituale, che il vivo contatto col Dio vivo fa erompere nel seno della Chiesa, e da lei effondere sulle aride zolle della nostra terra.

La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro d’ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà. Tutto l’uomo fenomenico, cioè rivestito degli abiti delle sue innumerevoli apparenze; si è quasi drizzato davanti al consesso dei Padri conciliari, essi pure uomini, tutti Pastori e fratelli, attenti perciò e amorosi: l’uomo tragico dei suoi propri drammi, l’uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l’uomo infelice di sé, che ride e che piange; l’uomo versatile pronto a recitare qualsiasi parte, e l’uomo rigido cultore della sola realtà scientifica, e l’uomo com’è, che pensa, che ama, che lavora, che sempre attende qualcosa il «filius accrescens» (Gen 49, 22); e l’uomo sacro per l’innocenza della sua infanzia, per il mistero della sua povertà, per la pietà del suo dolore; l’uomo individualista e l’uomo sociale; l’uomo «laudator temporis acti» e l’uomo sognatore dell’avvenire; l’uomo peccatore e l’uomo santo; e così via. L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».

 

LG al centro dell’opera del Vaticano II non può essere compreso semplicemente come un testo che parla della Chiesa ad intra; presenta infatti la Chiesa nei suoi rapporti con Dio e con gli altri.

 

Il 21 novembre 1964 il Concilio Vaticano II ha pubblicato questa costituzione Lumen gentium dalle parole iniziali dello stesso documento (Cristo è Luce delle genti = Lumen Gentium). Documento cristologico. È Cristo la luce delle genti, non la Chiesa. La Chiesa riflette la luce di Cristo. 

 

Paolo vescovo, servo dei servi di Dio unitamente ai Padri del Sacro Concilio, a perpetua memoria. Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (21 novembre 1964)

È il più bel documento scritto sulla Chiesa nel secolo scorso.

Formato da 8 capitoli:

  1. Il mistero della Chiesa
  2. Il popolo di Dio
  3. Costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare dell’episcopato
  4. I laici
  5. Universale vocazione alla santità nella Chiesa
  6. I religiosi
  7. Indole escatologica della Chiesa peregrinante e sua unione con la Chiesa celeste
  8. La beata Maria vergine madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa

 

Alcune cose interessanti fatte dal Concilio in questo documento:

Comincia a parlare della Chiesa non dalle strutture visibili, da ciò che si vede, dall’evidenza storica, ma dal mistero della Chiesa. Mistero non indica qualcosa di oscuro, enigmatico, eclettico, incomprensibile ma è tutta l’opera di salvezza, il disegno, il progetto di Dio fin dall’eternità di salvezza. Il mistero è quell’elemento di fede nel quale è data una grazia particolare: i misteri della vita di Cristo sono quei fatti, quegli eventi in cui Gesù ha trasformato la natura umana. L’Anno liturgico segue i misteri della vita di Cristo, la sua opera di salvezza a nostro favore, celebra la trasformazione della natura umana che avviene progressivamente in ogni uomo perché è avvenuta già tutta in Cristo. Dire che la Chiesa è mistero vuol dire allora che la Chiesa è un evento nel quale lo Spirito Santo trasforma l’umanità con la grazia di Cristo.

 

La LG non parla della Chiesa a partire dall’alto, a partire dal Papa secondo una visione piramidale, verticistica ma a partire dal popolo di Dio nel suo insieme. Quindi neppure dai laici. Parte da ciò che tutti condividono: al popolo di Dio appartengono i laici, i religiosi, i ministri ordinati, quelli istituti e quelli di fatto, ecc. Poi comincia a parlare della gerarchia, dei laici, della vocazione di tutti alla santità, dei religiosi, della Chiesa in rapporto al regno e infine al capitolo 8 la Vergine Maria. Il luogo proprio per parlare della B.V.M. è il discorso sulla Chiesa perché ella è un membro eccellente della Chiesa, è come se Maria fosse una sintesi, un riassunto di tutta la Chiesa. Guardando Maria guardo la Chiesa intera. 

I primi numeri di LG hanno una struttura spiccatamente trinitaria, come quella presente nel Credo. Non si può parlare della Chiesa senza il riferimento al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, la Trinità. La Chiesa riflette la Trinità, è a immagine della Trinità. 

 

IL SIMBOLO DEGLI APOSTOLI 

L’abc della nostra fede lo troviamo nel Credo. La più antica formula del Credo è il cosiddetto Credo apostolico o Simbolo degli apostoli, più breve rispetto a quello che recitiamo la domenica alla Messa che è il Credo Niceno-Costantinopolitano che si è formato con i Concili del IV secolo. 

Il Credo apostolico o Simbolo viene recitato nella Messa durate la Quaresima e il Tempo di Pasqua o in tutte le occasioni in cui la liturgia richiama il battesimo. Chiamato simbolo perché è come la tessera di riconoscimento, la carta di identità segno di riconoscimento dei cristiani. Esiste il rito della Traditio symboli per i catecumeni, cioè la consegna del Credo, le verità di fede. 

 

Questo Credo ha tre grandi parti o articoli:

  1. Il Padre: Credo in Dio Padre onnipotente…
  2. Il Figlio: Credo in Gesù Cristo…
  3. Lo Spirito Santo: Credo nello Spirito Santo…

 

Della Chiesa, nel Credo, se ne parla nella parte che riguarda lo Spirito Santo: Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la risurrezione della carne e la vita eterna.

Parlare della Chiesa dunque ha a che fare strettamente con lo Spirito Santo. La prima opera dello Spirito Santo è la Chiesa. Lo Spirito Santo fa la Chiesa, fa la comunione dei santi, la risurrezione della carne, la vita eterna. Sono tutte cose che fa lo Spirito Santo e le fa per attualizzare e portare nella storia, nel mondo e a ogni uomo ciò che Cristo ha fatto, cioè la salvezza che Cristo ci ha portato.

 

Credo la Chiesa una santa, cattolica e apostolica

Nel Simbolo degli apostoli si dice: Credo la Chiesa (opera dello Spirito Santo); non diciamo credo nella Chiesa come diciamo per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Ma credo all’opera che lo Spirito Santo fa. La Chiesa non è un’evidenza che io posso vedere e conoscere nella mia vita se non ho la fede. Come la remissione dei peccati: credo la remissione dei peccati. Non la vedi ma la credi; credo quando mi confesso, quando ricevo l’assoluzione…  o quando chiedo perdono all’inizio della celebrazione, sono atti di fede che faccio credendo nel perdono del Signore, non sono evidenze.

Allo stesso modo: Credo la Chiesa cattolica (è un atto di fede), credo che lo Spirito Santo sta operando nella storia degli uomini mediante la struttura visibile della Chiesa che vedo ma che ha una dimensione ulteriore, altra rispetto a quello che vedo.

Subito dopo aver detto Credo la Chiesa cattolica, il simbolo dice: Credo la comunione dei Santi. È una frase direttamente legata alla Chiesa. 

La communio sanctorum è una frase che ha un duplice significato: credo la comunione delle cose sante oppure credo la comunione delle persone sante. Entrambi i significati sono veri. Crediamo cioè che nella Chiesa cattolica abbiamo in comune delle cose sante. Credo la comunione delle persone sante, delle persone che nella Chiesa sono unite.

«Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato agli altri perché la Chiesa è l’unità di un unico corpo. Allo stesso modo bisogna credere che esista una comunione di beni nella Chiesa. Il membro più importante è Cristo poiché il capo. Il bene di Cristo è comunicato a tutti gli altri membri della Chiesa; ciò avviene mediante i sacramenti» (CCC 947). 

Questa è la comunione delle cose sante: ciò che Cristo ha, lo mette in comune, ne fa partecipi gli altri, lo comunica a noi. E come passa da Cristo a noi qualcosa se non attraverso i sacramenti? Credo la comunione dei santi vuol dire dunque credo nella sacramentalità della Chiesa.  San Leone Magno: «Ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi sacramenti».

«L’unità dello Spirito da cui la Chiesa è animata e retta fa si che tutto quanto essa possiede sia comune a tutti coloro che vi appartengono». Il termine comunione dei santi ha perciò due significati strettamente legati: la comunione alle cose sante (sancta) e la comunione tra le persone sante (sancti). 

Il mistero della Chiesa lo si vede nella celebrazione dei sacramenti, è li che conosciamo il mistero della Chiesa, lì si vede la Chiesa. Per conoscere la Chiesa dobbiamo celebrare l’Eucaristia, partecipare ai sacramenti. La Chiesa non è un oggetto di studio a tavolino ma è un’esperienza di fede che si fa e sulla quale poi anche si riflette. Il momento in cui la Chiesa si manifesta maggiormente come comunione è il momento in cui è esplicita la comunione delle cose sante, cioè durante la celebrazione dei sacramenti. Quando si celebrano i sacramenti nella Chiesa, ciò che è di Cristo giunge fino a noi, massimamente nel sacramento dell’Eucaristia.

 

IL CREDO NICENO-COSTATINOPOLITANO

Il Credo Niceno Costantinopolitano descrive la Chiesa con 4 attributi:

una – santa – cattolica – apostolica 

 

UNA: è una comunione, si hanno in comune alcune cose. Anzitutto abbiamo in comune lo Spirito Santo che fa la Chiesa, poi la fede in Cristo, i sacramenti, la Parola di Dio, la vita, i beni. La Chiesa è comunione che si vede (non che si sente come un vago sentimento) concretamente nella fede e nella vita. Certamente poi c’è tutto il cammino verso l’unità delle varie confessioni cristiane, l’unità è un dono di Dio e anche un compito, entra qui il movimento ecumenico ecc. Gesù ha pregato «perché tutti siano uno, come Tu Padre sei in me e io in te anch’essi siano una cosa sola». Dire che la Chiesa è una non vuol dire che sia uniforme, è una realtà diversificata dove le differenze sono anche ricchezza e benedizione.

 

SANTA: è animata, formata, abitata dallo Spirito Santo, il santificatore, colui che fa santi gli uomini e santifica il mondo, strumento di santificazione per gli uomini e per il mondo. È fatta di persone che individualmente, benché santificate dai sacramenti, possono essere concretamente peccatori in continuo processo di conversione. Credo che la Chiesa è santa. 

Casta meretrix è un’espressione latina mutuata da un testo di sant’Ambrogio che viene usata talvolta per indicare la realtà della Chiesasanta ancorché composta da peccatori che hanno bisogno della grazia di Dio per vivere la santità alla quale sono stati chiamati per mezzo del battesimo. I santi canonizzati non sono superuomini o superdonne, ma sono persone che si sono lasciate trasformare dall’amore di Cristo e lo hanno testimoniato nel mondo.

 

CATTOLICA: universale, destinata a ogni uomo e porta in sé una molteplicità di uomini e di culture. Non è qualcosa di nazionale, non ha una identità locale. È la Chiesa di Cristo unica, uguale ovunque anche se poi è incarnata in forme diverse, ma è per tutti. È cattolica perché è inviata a tutto il genere umano.

 

APOSTOLICA: è la medesima Chiesa degli apostoli, coloro che Cristo ha scelto come pilastri della sua comunità, è sempre la stessa, non è mai cambiata anche se nel corso della storia si è allargata, ampliata e ha come fondamento gli apostoli. Il servizio che gli apostoli hanno reso alla prima comunità cristiana prosegue nel servizio che i vescovi, successori degli apostoli, fanno all’attuale comunità cristiana. È apostolica anche nel senso che è inviata, è missionaria.

La sera di Pasqua, quando Gesù appare ai discepoli nel Cenacolo li manda: «Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi» (Gv 20,21). Il verbo greco mandare significa proprio che la Chiesa è inviata a tutte le genti: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20).

 

Idee portanti di LG

Qualcuno ha detto che ogni Concilio inventa o porta alla ribalta parole nuove che segnano l’immaginario e si inseriscono nella memoria cristiana: ad esempi i concili antichi hanno coniato il termine consostanziale (homoousia), hypostatis, Teotokos; il Concilio di Trento ha inventato la parola transustanziazione, carattere; il Vaticano I la parola infallibilità. Tutte parole che a volte sono state al centro di polemiche ma anche attraverso queste nuove parole si esprimono preoccupazioni, richieste, esigenze spirituali proprie di una determinata epoca. Probabilmente la parola magica inventata dal Vaticano II è stata aggiornamento.

 

Collegialità

Una idea che ha segnato maggiormente l’immaginario al Vaticano II è collegialità. Come al Vaticano I l’emblema è stata la parola infallibilità, al Vaticano II l’emblema è collegialità, un termine sconosciuto per i cristiani all’apertura del Concilio. Eppure la celebrazione del Concilio e la partecipazione dei vescovi ai suoi lavori avevano prodotto proprio una coscienza conciliare e collegiale che il termine collegialità riusciva a esprimere. Il termine in quanto tale non si trova nei testi, si trova il sostantivo collegio (LG 19) in riferimento ai Dodici apostoli costituiti da Cristo, un gruppo stabile che ha Pietro come capo e che poi si estende al collegio dei vescovi successori degli apostoli che sono in comunione con il Papa, successore di Pietro.

Eppure questo termine, collegialità, riesce a tradurre una idea forte, stimola le menti, è stato all’origine di molti dibattiti e scritti, diventando così una delle grandi sfide del Vaticano II. La riunione dei vescovi in assemblea, le loro deliberazioni riprese giorno dopo giorno, gli scambi e il lavoro in comune offrivano un’immagine concreta dell’idea di collegialità. Anche il Concilio offre una rappresentazione di collegialità

 

Storia della salvezza 

Questo termine, historia salutis, lo troviamo nel capitolo VIII della LG (nn. 55 e 65). Anche se non ricorre spesso nella costituzione, tuttavia lo svolgimento globale del documento rinvia a questa idea che gli studi biblici avevano messo in risalto fin dalla fine del XX secolo. L’apertura e la conclusione di LG, che sono spiccatamente trinitarie, come il capitolo VII sull’indole escatologica, inseriscono la Chiesa nella storia cosmica della salvezza. È un concetto che colloca la Chiesa in questa storia e di comprenderla in Cristo come il sacramento di questa salvezza. In seno all’umanità, riguardo al regno e al compimento finale, la Chiesa ha valore di segno per il fatto di essere germe dell’umanità nuova. Ciò consente anche una continuità dei rapporti tra la Chiesa e il popolo d’Israele. 

L’idea della storia della salvezza è strettamente legata a due concetti basilari di LG: quello appunto di sacramento della salvezza e quello di popolo di Dio. La Chiesa è presentata come pellegrinante sulla terra, nel tempo e nella storia (l’immagine del pellegrinaggio è associata al popolo di Dio). La Chiesa ha un carattere storico e pellegrinante iscritto però nel divenire escatologico del mondo e dell’umanità, vive tra il già e il non ancora

 

La Chiesa come sacramento di salvezza

Vari fermenti preconciliari contribuirono al rinnovamento dell’ecclesiologia. Si cercava cioè di superare il concetto di società (la societas perfecta) riguardo alla Chiesa. Primeggiava il concetto di corpo mistico, ripreso poi nel magistero di Pio XII con l’enciclica Mystici corporis (1943). Parallelamente alcuni teologi andavano cesellando un altro concetto: quello di sacramento per parlare della Chiesa. 

La LG userà come primo concetto riferito alla Chiesa quello di sacramento. Cerano state opposizioni e riserve ad applicare la nozione patristica di sacramento, raramente attribuita alla Chiesa in età scolastica e moderna. La comparsa di questa nozione nel primo numero di LG ha come obiettivo la famiglia umana e il suo destino escatologico, la piena unità in Cristo di tutti gli uomini. Il posto della Chiesa e il suo ruolo nel disegno del Padre è quello di essere, alla maniera del primo Israele, «vessillo innalzato sulle nazioni» come dice Isaia che viene citato al n. 2 di SC.

Non tutta la famiglia umana appartiene alla Chiesa, ma la Chiesa ha verso ogni persona una funzione che è quella di essere segno del destino escatologico del mondo e della famiglia umana, segno di riconciliazione e comunione, segno di salvezza. Questa prospettiva escatologia molto importante si collega anche con il carattere missionario della Chiesa che verrà sviluppato nella costituzione LG. 

 

La Chiesa popolo di Dio

La nozione di popolo di Dio si è imposta come concetto chiave della costituzione. Non solo questo concetto è ricorrente ma svolge anche un ruolo strutturante e architettonico. Non è sullo stesso piano di altri concetti e immagini usati dalla costituzione. Dire con un’affermazione lapidaria che la Chiesa è il popolo di Dio, indica una ecclesiologia sintetica e comprensibile per l’insieme dei battezzati, ecco perché questo concetto si è diffuso rapidamente. L’espressione è biblica e ha il vantaggio di stabilire la continuità tra la prima alleanza e la Chiesa. Inoltre permette di cogliere la Chiesa come totalità e di fare spazio alla pienezza della Chiesa.

La Chiesa non è ridotta alla gerarchia ma viene vista come un tutto. L’espressione popolo di Dio valorizza il sacerdozio comune e la partecipazione di tutti alle tre funzioni di Cristo (sacerdotale, profetica e regale) fondandoli su un diritto sacramentale conferito dal battesimo e più ampiamente dai sacramenti dell’iniziazione cristiana. 

Ancora l’espressione popolo di Dio permette di valorizzare i doni dello Spirito distribuiti a tutti i fedeli. Questa espressione riconosce ancora una volta alla Chiesa il suo carattere storico: ci si riappropria della storia, perché la Chiesa è nella storia e presenta un carattere storico, senza essere ridotta alla dimensione di società ma preservando il suo carattere spirituale. 

La nozione di popolo di Dio apre la strada a una riflessione sull’organizzazione di questo popolo santo, sulla ministerialità, sulla vocazione missionaria della Chiesa e la sua testimonianza nel mondo.

 

 

I soggetti ecclesiali

A questo concetto è legata la nozione di popolo di Dio che sottolinea la comune appartenenza alla Chiesa al di là di differenze di condizione o funzione. Il capitolo di LG dedicato al popolo di Dio permette di dare valore ai doni dello Spirito concessi a tutti i membri della Chiesa, alla nozione di sacerdozio comune fondato sul battesimo e alla partecipazione differenziata di tutti ai tria munera di Cristo (la funzione profetica, sacerdotale e regale). 

Anche il capitolo V sull’universale vocazione alla santità, adottando la medesima prospettiva inclusiva, sottolineava quanto è in comune a tutti i membri della Chiesa. Tutti i battezzati, attraverso la loro condizione e la loro rispettiva funzione nella Chiesa, sono chiamati alla santità. In tal modo l’ecclesiologia non era ridotta a «gerarchilogia» secondo una simpatica espressione di Congar. 

I capitoli particolari riguardanti l’episcopato (capitolo III) e il laicato (capitolo IV) vengono elaborati proprio sullo sfondo della comune dignità di tutti i soggetti ecclesiali. Quello sui laici costituisce una novità del Vaticano II rispetto a tutti i decreti dei venti Concili ecumenici che l’hanno preceduto. Il fatto che un Concilio ecumenico consacri un intero capitolo di una costituzione dogmatica ai laici (e poi anche un decreto Apostolicam actuositate), costituisce la più grande novità e l’apertura più significativa. Viene articolato meglio l’apporto dei laici al ministero gerarchico nell’ambito dell’insegnamento e dl governo, che sarà poi approfondito in altri documenti del Concilio (Presbiterorum Ordinis, Christus Dominus, Sacrosanctum Concilium, Gaudium et Spes). LG infatti non esaurisce l’insegnamento del Vaticano II sul laicato. Il ministero dei laici viene compreso come servizio ed esercitato con la collaborazione e la cooperazione di tutti. Il servizio dell’annuncio del Vangelo nel mondo non è più monopolizzato dal ministero gerarchico ma è responsabilità comune di tutti e ciascuno secondo la propria vocazione, quindi anche i laici. 

Così parlando della condizione dei cristiani nel mondo e della chiamata alla santità universale, si chiarisce come la vocazione alla santità si indirizza a tutti secondo la condizione propria di ciascuno; la vita religiosa rappresenta nella Chiesa una condizione particolare che traccia un cammino che permette di attuarla (Perfectae caritatis).

 

Il primo numero di LG inizia con un’affermazione cristologica: afferma che Cristo è la luce delle genti. 

 

1. «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo».

 

Con questa immagine il Concilio vuole affermare la portata soteriologica universale di Cristo. Genti non indica qui i pagani in opposizione a Israele, ma tutti i popoli della terra.  L’immagine della luce che fa da esordio ritornerà poi anche in LG 3 dove Cristo viene presentato come luce del mondo e poi al n. 8 dove si afferma che il Signore alla fine dei tempi risplenderà nella pienezza della luce. Il tema della luce dà unità a i primi otto numeri di LG. 

La luce della presenza di Cristo nell’oggi e nella storia si riflette sul volto della Chiesa che non brilla di luce propria ma è come la luna che riflette la luce del sole. Così la Chiesa riflette la luce di Cristo. Dunque il mistero della Chiesa appare è strettamente congiunto e dipendente dal mistero di Cristo. La modalità con la quale la Chiesa riflette la luce di Cristo è anzitutto quella dell’annuncio evangelico rivolto a ogni creatura affinché tutti gli uomini e le donne siano illuminati. 

Altro termine che lega la Chiesa a Cristo è che la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Non è stato facile dire che la Chiesa è sacramento: c’era la preoccupazione di generare confusione usando lo stesso termine che è proprio dei 7 sacramenti, come se la Chiesa fosse un ottavo sacramento. Ma la dottrina della sacramentalità era già stata applicata alla Chiesa per esempio in SC 5 e SC 26 anche se in contesti riferiti alla liturgia, mentre qui il riferimento era a tutta la realtà ecclesiale. Ma questa affermazione non intaccava in alcun modo la dottrina di Trento sul numero e l’identità dei sette sacramenti. Tanto che l’inciso in Cristo segnala che la Chiesa è sacramento non in sé e da sé ma in forza della sua strutturale relazione con Cristo. 

Dire che la Chiesa è segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano segno significa dire che la Chiesa è il luogo in cui si manifesta l’azione salvifica di Dio e allo stesso tempo è lo strumento attraverso cui Dio realizza la sua volontà salvifica universale. Perché la Chiesa possa conseguire l’unità del genere umano deve primariamente realizzare l’unione con Dio. 

 

Concludo questo breve incontro di poche pennellate sull’ecclesiologia. Rimando al vostro studio e approfondimento nella vita tutto quello che non è stato possibile affrontare in questo piccolo corso..  

 

Noi vediamo la Chiesa e siamo la Chiesa soprattutto quando celebriamo la liturgia e i sacramenti. Nella liturgia  avviene la nostra divinizzazione, ciò che è di Cristo passa a noi.

 

 

 

Introduzione alla Liturgia

 

 

 

 


 

 

 

                                                                         INTRODIZIONE ALLA LITURGIA

                                                                                      MONS. JHOSEPH

 

  • INTRODUZIONE

Con il termine liturgia, proveniente dal greco (λειτουργία – leitourgìa), in origine si indicava un’opera, azione o iniziativa assunta liberamente in proprio da un privato in favore del popolo, del quartiere, della città, dello stato1. Con l’andare del tempo, questa spontanea e volontaria attività svoltadal privato cittadino perse il suo carattere “libero”e, così, con la parolaliturgia si iniziò a identificare qualunque lavoro di servizio, più o meno obbligatorio, reso allo Stato, alla divinità, oppure a un privato.

 

Nella traduzione greca della Bibbia detta dei LXX, liturgia indica, invece, sempre, senza eccezione, il servizio religioso reso dai leviti a Jahvè, prima nella tenda e poi nel tempio di Gerusalemme. Il termine, dunque, in tale contesto assume un significato tecnico, che designa il culto pubblico e ufficiale a norma delle leggi levitiche.

 

La teologia cristiana adotta dal mondo greco il termine liturgia relazionandolo al proprio culto. Se la teologia cristiana ha preso questo vocabolo del mondo greco, lo ha fatto ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene.

 

Il Catechismo indica, inoltre, che «nella tradizione cristiana [la parola liturgia] vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069), perché il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio.

 

Il Concilio VaticanoII, cinquant’anni or sono iniziò i suoi lavori propriocon la discussione dello schema sulla Sacra Liturgia, approvato poi solennemente il 4 dicembre del 1963. La costituzione Sacrosanctum Concilium fu il primo testo approvato dai padri del Vaticano II. La decisione di iniziare i lavori proprio sullo schema della liturgia si è dimostrata molto giusta, anche a partire dalla gerarchiadei temi e dei compitipiù importanti per la Chiesa.Iniziando con il tema della liturgia, il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta. Prima di tutto Dio: proprio questa priorità assoluta viene evidenziata dalla scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardosu Dio non è determinante, ogni altra

 


 

1 Il Catechismodella Chiesa Cattolica ricorda che originariamente con la parola«liturgia» si indicavail

«servizio da parte del popolo e in favoredel popolo» (n. 1069).


 

 

cosa perde il suo orientamento. Il criterio fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare alla sua stessa opera.

 

 

  • LA COSTITUZIONE SULLA SACRALITURGIA SACROSANCTUM CONCILIUM

Quando i Padri conciliari iniziarono a esaminare lo schema del testo sulla Sacra Liturgia, immediatamente percepirono che molte delle idee e proposte di riforma che vi erano contenute rispecchiavano i pensieri e i sentimenti di gran parte dell’episcopato presente. Il documento predisposto, infatti,in parte sintetizzava alcune delle idee che, sorte e sviluppatesi all’interno del Movimento Liturgico, erano già conosciute da molti Padri del Concilio. Se è indubbio, infatti, che nella sua fase iniziale il Movimento Liturgico, nato in ambito monastico e accademico, aveva assunto una connotazione elitaria, quando le proposte e le istanze da questo suscitate interessarono direttamente l’ambito pastorale, vasti settori popolari e anche le gerarchie ecclesiastiche si poterono confrontare con questa nuova visione di Chiesa chiamata a rapportarsi alla modernità e alle speranze dell’uomo moderno. Gli studi, le proposte e le richieste di concessioni in ambito liturgico e pastorale che furono presentate in tante diocesi dagli esponenti del Movimento Liturgico vennero, dunque, poste all’attenzione dei vescovi competenti che poterono così approfondire le tesi esposte e valutarne le motivazioni addotte. Quando i vescovi si trovarono fianco a fianco in sede conciliare a discutere un progetto di riforma della Liturgia che aveva in parte acquisito anche l’esperienza maturata dal Movimento Liturgico, moltissimi Padri conciliari e consulenti erano già preparati al dibattito sulle tesi oggetto dell’esame e del confronto.

 

Il documento posto all’esame dei Padri conciliari è particolarmente articolato e interviene in modo sistematico a regolare la Liturgia nel suo complesso organico. L’esame e la discussione sul documento furono particolarmente approfondite e si protrassero per tutte le prime due sessioni conciliari. Al termine della seconda sessione, svoltasi dal 29 settembre al 4 dicembre 1963, i Padri conciliari approvarono il testo per la riforma liturgica con una maggioranza dei consensi quasi unanime: 2.147 placet e solamente 4 non placet. Il risultato è straordinario e di portata storica, poiché nonostante il pur necessario confronto, il documento fu approvato praticamente all’unanimità. Il 4 dicembre 1963 Papa Paolo VI promulgò solennemente la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, primo documento del Concilio Vaticano II.

 

 

  1. Lo schemadella Costituzione

PROEMIO: la Sacrosanctum Concilium inizia con un proemio nel quale si dichiara che la Chiesa,avendo in animoil bene dellavita cristiana dei fedeli e avendo intenzione di adattare alle esigenze del tempo tutte quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti e di dare nuovo vigore alle attività di evangelizzazione e di annuncio del messaggio di salvezza di Cristo, ritiene necessario occuparsi anche della riforma e della promozione della liturgia («Il sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all'unione di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa. Ritiene quindi di doversi occupare in modo speciale anche della riforma e della promozione della liturgia». SC, 1).


 

 

La Sacrosanctum Concilium si apre, dunque, nel segno della riforma e della promozione della liturgia con l’intento di annunciare al mondo moderno la salvezza di Cristo ripartendo dalla viva Tradizione della Chiesa e contestualmente aprendola via a un legittimoprogresso. La rilevata necessità di dover adattare alle esigenze del tempo quegli istituti che sono soggetti a mutamento pone alcuni studiosi a valutare la complessa opera di riforma disposta dai Padri del Vaticano II in relazione alla precedente riforma liturgica disposta nel XVI secolo dal Concilio di Trento. Alcuni studiosi, infatti, sintetizzano la riforma liturgica del Vaticano II come un intervento di cesura con la liturgia tridentina, ritenendo che la volontà dei Padri conciliari sembrerebbe determinarsi in un proposito di cambiamento rispetto a quanto sino ad allora in vigore. In realtà, invece, è erroneo contrapporre le due riforme liturgiche. Quando l’assise tridentina si chiuse, infatti, i Padri conciliari, constatando l’impossibilità di poter eseguire nel breve termine una attenta analisi della vasta documentazione prodotta dalle commissioni incaricate di proporre la revisione dei libri liturgici, demandarono al papa l’attuazione della riforma, indicando che questa si sarebbe dovuta realizzare sulla base del prezioso patrimonio consistente nella Tradizione della Chiesa. Il Concilio di Trento, quindi, pur recependo la necessità di dover rivedere i libri liturgici, sottolineò l’importanza di proseguire l’opera di riforma nel solco della continuità con la Tradizione viva della Chiesa. I Padri del Concilio di Trento, in particolare, erano mossi dall’intenzione di riformare la liturgia recuperando il modello liturgico dell’epoca d’oro, cioè la Messa patristica del IV e V secolo. La riforma attuata da San Pio V e il messale da lui pubblicato nel 1570 costituirono il miglior punto di sintesi che poteva essere allora realizzato con le conoscenze dei documenti liturgici dell’età patristica che si avevano in quel momento storico. A partire proprio dal secolo XVI e sino a tutto il XX, però, era aumentata notevolmente la conoscenza dei documenti storici e liturgici antichi. Alcune scoperte molto importanti e il progresso della tecnica permisero agli studiosi del XX secolo di conoscere e trattare un numero di documenti dieci volte superiore a quello noto nel periodo del Concilio di Trento. Quando il Concilio Vaticano II si determinò, così come già accaduto a Trento, a indirizzare il progetto di riforma liturgica sul modello rituale dell’età patristica, dunque, gli studiosi e i vescovi chiamati a confrontarsi sulle proposte di mutamento conoscevano, con ragionevole sicurezza storica, la effettiva struttura della Messa celebrata nel IV e V secolo. Gli elementi e le informazioni disponibili erano di gran lunga più numerosi e sicuri da un punto di vista storico rispetto a quelli noti ai Padri del Concilio di Trento. Come si può constatare, dunque, il processodi riforma della Liturgia ha avuto uno sviluppo graduale nel tempo che ha visto il suo inizio nel Concilio di Trento ed è stato poi portato a compimento dal Concilio Vaticano II e da papa Paolo VI, che ha attuato le disposizioni conciliari. In ambito liturgico non è possibile, dunque, opporre il concilio tridentino al Vaticano II: vi è un filo rosso che li collega e consiste nella volontà di riportare in luce la bellezza, la nobiltà, la ricchezza, e al tempo stesso la semplicità, della liturgia cristiana delle origini. Certamente vi sono elementi di differenziazione tra i due concili, il principale dei quali può essere identificato nel fatto che a Trento la Chiesa ha fornito una risposta allo scisma protestante, mentreil Vaticano II ha elaborato una sintesi che ha postola Chiesa in relazione alla modernità e l’ha portata ad annunciare Cristo risorto all’uomo moderno. Ma sempre nella volontà di recuperare la Liturgia dell’epoca aurea dei Padri.

CAPITOLO I – PRINCIPI GENERALIPER LA RIFORMA E LA PROMOZIONE DELLA

SACRA LITURGIA: in questo primo capitolo sono formulati i principi generali che qualificano e determinano la riforma liturgica e la promozione della Liturgia. È un capitolo molto importante, poiché da questo derivano tutte le altre sezioni del documento. Alcuni dei


 

 

principi indicati riguardano la presenza di Cristo nella Liturgia, l’importanza della Liturgia per la vita della Chiesa, la competenza a regolare l’ordinamento liturgico, l’importanza della Sacra Scrittura nella celebrazione, la necessità della partecipazione piena, attiva e consapevole dei fedeli. Si tratta, dunque, dell’impianto strutturale della riforma che nei capitoli successivi, poi, viene definita nel dettaglio.

 

CAPITOLO II – IL MISTERO EUCARISTICO: in questo capitolo sono indicate le prescrizioni per la riforma della Santa Messa ponendo in evidenza la preoccupazione della Chiesa affinché i fedeli «non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamentee attivamente; sianoformati dalla paroladi Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti» (SC, 48). La riflessione dei Padri conciliari, con le norme che prescrivono la riforma della Santa Messa, sintetizza un pensiero che, in modo particolare, costituisce una novità rispetto al passato: Sacrosanctum Concilium 56 indica chiaramente che la Liturgia è il luogo privilegiato della Parola di Dio e, pertanto, vi è un nesso indissolubile tra Eucaristia e Liturgia della Parola («Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto. Perciò il sacro Concilio esorta caldamente i pastori d'anime ad istruire con cura i fedeli nella catechesi, perché partecipino a tutta la messa, specialmente la domenica e le feste di precetto»– SC,

56). Per riflettere su quanto sia innovativa questa visione conciliare, si consideri che Mario Righetti, sacerdote e liturgista, quando nel suo testo in quattro volumi intitolato Manuale di storia liturgica (1959-69) si occupa della Liturgia della Parola, intitola il relativo capitolo della sua opera Missa didactica, cioè una parte della Messa che poteva ben essere sostituita da una lezione di catechismo. Prima del Concilio Vaticano II, infatti, la partecipazione alla Liturgia della Parola non era obbligatoria e i fedeli, dunque, osservavano il precetto festivo solamente con la partecipazione alla Liturgia Eucaristica. Usando una frase molto nota nel periodo preconciliare, la partecipazione alla Santa Messa di precetto era adempiuta ex velo ad velum, cioè dall’offertorio sino al termine della comunione. All’inizio dell’offertorio, infatti, il celebrante toglieva il velo che copriva il calice, per poi rimetterlo nuovamente una volta terminata la purificazione. Per osservare validamente il precetto domenicale e festivo, dunque, era sufficiente essere presenti alla Messa da quando il calice veniva svelato (offertorio) sino a quando veniva coperto di nuovo (dopo la comunione). Grazie alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II la liturgia della Parola, in precedenza ridotta a elemento semplicemente didattico e persino superfluo, ha recuperato la sua dimensione sacramentale. I Padri conciliari stabiliscono che la Liturgia della Parola è inscindibile dalla Liturgia del Sacramento. A partire da questa indicazione conciliare il magistero degli anni successivi ha approfondito la riflessione sulla importanza della Parola di Dio nella Liturgia, ampliando ulteriormente la sintesi e la comprensione di questa fondamentale dimensione. Con l’Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini, Benedetto XVI affronta un tema molto significativo riguardante la sacramentalità della Parola. Ricordando Papa Giovanni Paolo II, che aveva fatto riferimento «all’orizzonte sacramentale della Rivelazione e, in particolare, al segno eucaristico dove l’unità inscindibile tra la realtà e il suo significato permette di cogliere la profondità del mistero» (Lett. enc. Fides et ratio, 14 settembre 1998, 13: AAS 91 (1999),16.), Papa BenedettoXVI afferma «che all’origine della sacramentalità


 

 

della Parola di Dio sta propriamente il mistero dell’incarnazione: “il Verbo si fece carne” (Gv 1,14), la realtà del mistero rivelato si offre a noi nella «carne» del Figlio. La Parola di Dio si rende percepibile alla fede attraverso il “segno” di parole e di gesti umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli stesso si presenta a noi. L’orizzonte sacramentale della Rivelazione indica, pertanto, la modalità storico-salvifica con la quale il Verbo di Dio entra nel tempo e nello spazio, diventando interlocutore dell’uomo, chiamato ad accogliere nella fede il suo dono. La sacramentalità della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino consacrati. Accostandoci all’altare e prendendo parte al banchetto eucaristico noi comunichiamo realmente al corpoe al sangue di Cristo.La proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione comporta il riconoscere che sia Cristo stesso ad essere presente e a rivolgersi a noi per essere accolto. Sull’atteggiamento da avere sia nei confronti dell’Eucaristia, che della Parola di Dio, san Girolamo afferma: «Noi leggiamo le sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice: Chi non mangerà la mia carne e berrà il mio sangue (Gv 6,53), benché queste parole si possanointendere anche del Mistero [eucaristico], tuttavia il corpo di Cristo e il suo sangue è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di Dio. Quando ci rechiamo al Mistero [eucaristico], se ne cade una briciola, ci sentiamo perduti. E quando stiamo ascoltando la Parola di Dio, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio e la carne di Cristo e il suo sangue,e noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo non incappiamo?» (In Psalmum 147: CCL 78, 337-338). Cristo, realmente presente nelle specie del pane e del vino, è presente, in modo analogo, anche nella Parola proclamata nella liturgia. Approfondire il senso della sacramentalità della Parola di Dio, dunque, può favorire una comprensione maggiormente unitaria del mistero della Rivelazione in «eventi e parole intimamente connessi», giovando alla vita spirituale dei fedeli e all’azione pastorale della Chiesa» (VD, 56). Possiamo dunque rilevare come l’origine della sacramentalità sia nel mistero dell’incarnazione del Verbo ma, allo stesso modo, anche la Parola di Dio è Corpo di Cristo, presenterealmente sotto le specie del pane e del vino consacrati. Questo è un concetto molto importante, perché se la Parola di Dio è Corpo di Cristo, allora durante la Liturgia della Parola i fedeli si comunicano una prima volta al Corpo di Cristo attraverso l’ascolto e successivamente si accostano all’altare ove si comunicheranno nuovamente al Corpo e Sangue di Cristo attraverso il pane e il vino consacrati.

CAPITOLO III – GLI ALTRI SACRAMENTI E I SACRAMENTALI: in questo capitolo sono prescritti i criteri per la revisione dei riti dei sacramenti e dei sacramentali al fine di rivedere quegli elementi che sono stati introdotti nel corso dei secoli e che, però, hanno reso meno chiari la natura e il fine degli stessi riti. Tra le prescrizioni inserite in questo capitolo vi è il ripristino del catecumenato degli adulti, la disciplina della lingua liturgica, la revisione del rito del Battesimo, della Confermazione, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi, dell’Ordine, del Matrimonio. Allo stesso modo è prescritta la revisione dei sacramentali e del rito della consacrazione delle vergini, la composizione di un rito per la professione religiosa e la rinnovazione dei voti e la revisione dei riti funebri.

 

CAPITOLO IV – L'UFFICIO DIVINO: «Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è strutturato in modo da santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode divina. Quando poi a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti o altri a ciò deputati per istituzione della Chiesa, o anche i fedeli che pregano insiemecol


 

 

sacerdote secondo le forme approvate, allora è veramente la voce della sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre» (SC, 84). Poiché, dunque, la santificazione del giorno e di tutta l’attività umana rientra nelle finalità della Liturgia delle Ore, il Concilio Vaticano II ha disposto il rinnovamento del suo ordinamento in modo da far corrispondere, per quanto possibile, la celebrazione delle Ore al loro vero tempo, sempre tenendo conto, però, delle condizioni della vita contemporanea in cui si trovano specialmente coloro che attendonoall’apostolato. Si deve inoltre considerare la forte correlazione che lega la celebrazione dell’Ufficio Divino alla celebrazione dell’Eucarestia. La Liturgia delle Ore diviene estremamente significativa e fruttuosa spiritualmente, infatti, quando il fedele la celebra come prolungamento del mistero eucaristico. «La Liturgia delle Ore estende alle diverse ore del giorno le prerogative del mistero eucaristico, “centro e culmine di tutta la vita della comunità cristiana”: la lode e il rendimento di grazie, la memoria dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria celeste. La celebrazione dell’Eucaristia viene anche preparata ottimamente mediante la Liturgia delle Ore, in quanto per suo mezzo vengono suscitate e accresciute le disposizioni necessarie alla fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia, quali sono la fede, la speranza, la carità, la devozione e il desiderio dell’abnegazione di sé» (Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, 12).

 

CAPITOLO V – L'ANNO LITURGICO: i Padri del Concilio Vaticano II, consapevoli che nel corso dei secoli era stato inserito un numero molto elevato di feste dei santi e dei martiri, tanto da aver offuscato la celebrazione del mistero di Cristo, intervengono anche sul calendario stabilendo chiaramente, per la prima volta nella storia della cristianità, che l’anno liturgico costituisce il momento della celebrazione di tutto il mistero di Cristo. La santa madre Chiesa «Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa memoria della risurrezione del Signore, che essa celebra anche una volta all'anno, unitamente alla sua beata passione, con la grande solennità di Pasqua. Nel corso dell'anno poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo dall'Incarnazione e dalla Natività fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, le rende come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne a contatto e di essere ripieni della grazia della salvezza» (SC, 102). Non esistono, dunque, feste isolate come se fossero sfere di cristallo, poiché l’unico mistero di Cristo è distribuito nel corso dell’anno e nei diversi periodi del tempo liturgico.

 

CAPITOLO VI – LA MUSICA SACRA e CAPITOLO VII – L'ARTESACRA E LA SACRA

SUPPELLETTILE: gli ultimi due capitoli della costituzione conciliare sono i più disattesi del concilio. I Padri conciliari avevano ben rilevato la necessità per la Chiesa di dover tornare a dialogare con l’arte, in modo da rendere il culto anche momento della bellezza. Dio, infatti, non è solo vero, puro e giusto, ma è anche bello ed è per tale motivo che la Liturgia deve essere costituita di quella bellezza espressa anche dall’arte, così come nei secoli passati è sempre accaduto. L’8 dicembre 1965, al termine del Concilio Vaticano II, il papa Paolo VI indirizzò un messaggio agli artisti sottolineando proprio l’importanza del rapporto tra la verità divina e la bellezza: «Da lungo tempo la Chiesa ha fatto alleanza con voi. Voi avete edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. L’avete aiutata a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere comprensibile il mondo invisibile. Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutatedi mettere il vostro talento al serviziodella verità divina! Non


 

 

chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezzaper non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità,è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione». Anche Benedetto XVI ha posto in rilievo il rapporto tra Dio e la bellezza, nesso che viene evidenziato nella vera arte: «Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perchétale esperienza non allontana dallarealtà, ma, al contrario, portaad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello…La bellezza, da quella che si manifesta nel cosmo e nella naturaa quella che si esprime attraverso le creazioni artistiche, proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo,verso Dio» (Benedetto XVI agli artisti,21 novembre 2009).Purtroppo, però, è possibile constatare che ancora oggi molte prescrizioni in materia sono disattese e spesso, ad esempio nella realizzazione di nuove chiese o nella musica liturgica, ancora molto deve essere fatto per poter dare realmente attuazione ai dettami del Concilio Vaticano II.

 

APPENDICE – DICHIARAZIONE DEL CONCILIO VATICANOII CIRCA LA RIFORMA

DEL CALENDARIO: La Costituzione conciliare termina con un’Appendice che contiene due dichiarazioni dei Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II in merito al desiderio rappresentato da molti di fissare la festa di Pasqua in una domenica fissa del calendario gregoriano e di adottare un calendario perpetuo.

 

  1. Due definizioni di Liturgia

La Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium non fornisce una sola definizione di liturgia: nel capitolo nel contesto dei principi generali per la riforma e la promozione della Sacra Liturgia, vi è, proprio nei paragrafi iniziali, una prima enunciazione di liturgia, che viene definita come l’attuazione della storia della salvezza.

«Pertanto, come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch'egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo. Essi, predicando il Vangelo a tutti gli uomini, non dovevano limitarsi ad annunciare che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, bensì dovevano anche attuare l'opera di salvezza che annunziavano, medianteil sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica» (SC 6).

 

La visione che fornisce SC 6 è molto bella. Nella sua nitidezza, però, richiede una considerazione supplementare che, se pur può sembrare scontata, rende comunque bene l’idea della pienezza di senso che la definizione rende. Per ogni cristiano Gesù Cristo è la salvezza.Ma, di fatto, ogni cristianoè separato dalla presenza fisica di Gesù da duemilaanni di storia; e se manca il contatto con Cristo non ci può essere salvezza. La liturgia, allora, costituisce la realtà che cancella il tempo e lo spazio e rende possibile, oggi e nel luogo incui ci si trova, l’incontro con il Signore Gesù, che è la salvezza. Per questo motivo, nella Sacrosanctum Concilium, la liturgia viene definita attuazione della storia della salvezza («gli apostoli… non dovevano limitarsi ad annunciare…, bensì dovevano anche attuare l'opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica»).


 

 

Il paragrafo successivo richiama, invece, completandola, la definizione di liturgia che era presente nella lettera enciclica sulla Sacra Liturgia Mediator Dei, del 20 novembre 1947, di Pio XII. L’atto di magistero, sollecitato da una rinnovata partecipazione dei fedeli alla Liturgia e anticipatore di molte idee che saranno poi sviluppate e portate a compimento con il Concilio Vaticano II, inquadra la liturgia, nel suo contenuto, come la continuazione dell’ufficio sacerdotale di Cristo e, nella realtà completa della celebrazione, come “il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all'Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra”.

 

Sacrosanctum Concilium 7 tiene in debita considerazione la definizione di Liturgia data dalla Mediator Dei ma, partendo da una prospettiva di teologia biblica che pervade tutta la costituzione conciliare ed anche in considerazione della definizione fornita nel paragrafo precedente, ne rende una visione certamente più completa.

«Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra» (SC 7).

Sacrosanctum Concilium 7 contiene una definizione più classica di liturgia rispetto all’enunciazione del paragrafo precedente. Nell’indicare, inoltre, che il celebrante della Liturgia è Cristo e che l’assemblea liturgica forma il suo corpo storico, diviene chiaro allora che la Liturgia stessa è sempre composta dall’esercizio del sacerdozio ministeriale unito al sacerdozio battesimale dei fedeli, poiché l’insieme di queste due realtà costituisce il sacerdozio di Cristo. I fedeli da soli non possiedono il sacerdozio di Cristo, così come anche i sacerdoti da soli non possiedono il sacerdozio di Cristo.

 

In Sacrosanctum Concilium 7, si legge che nella liturgia il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo. Liturgia e culto, quindi, sono due cose differenti: il culto è una realtà molto vasta che abbraccia tutta la vita dell’uomo, mentre la liturgia ne rappresenta un momento particolare.

 

San Paolo, nella lettera ai Romani parla del culto che i cristiani devono rendere a Dio e ne spiega quale è la consistenza e l’ampiezza: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale». (Rm 12, 1). Per Paolo, quindi, il culto vero che il cristiano deve rendere a Dio è una offerta sacrificale del proprio corpo. Questa esortazione non è formulata dall’Apostolo delle Genti secondo una sua personale interpretazione, ma deriva direttamente dalle parolepronunciate da Gesù durante l’UltimaCena che anticipano e spiegano il Mistero Pasquale che di li a poco sarà compiuto: «E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”» (Mc, 14, 22). Con il termine “corpo” Gesù intende tutta la sua persona. Cristo, infatti, è presente nell’Eucarestia in Corpo, Sangue, anima e divinità, cioè è presente nella sua intera persona.

 

Per comprendere meglio il significato del passo della lettera ai Romani citato è necessario analizzare brevemente ogni singola parte del testo:

▫  Vi esortodunque, fratelli, per lemisericordie diDio: nel testo greco,differentemente

dalla traduzione italiana, il termine misericordia è coniugato al plurale, poiché san Paolo


 

 

vuole far riferimento a tutti quegli interventi di bontà che Dio compie durante la vita e nella storia di ciascuno;

▫  a offrire le vostre i vostri corpi [persone]: abbiamo visto che la parola corpi deve essere

sostituita con il significato reso dal terminepersone e, quindi, questa parte di testo

diverrebbe a offrire le vostre le vostre persone, cioè i sentimenti, le idee, i progetti, le parole, le opere: tutto ciò che costituisce la persona umana, senza lasciare nulla della pienezza dell’uomo;

▫ come sacrificio vivente: nella cultura ebraica, per poter sacrificare a Dio si doveva uccidere la vittima, privarla del sangue e poi metterla sull’altare dell’offerta. Di certo, quindi, non si poteva parlare di sacrificio vivente, in quanto la vittima, per poter essere sacrificata, veniva uccisa. Paolo, invece, utilizza proprio il termine vivente. Quella che apparentemente può sembrare una contraddizione se considerata in rapporto alla realtà cultuale dell’Antico Testamento, alla luce del mistero dell’incarnazione, morte sacrificale e resurrezione di Gesù Cristo assume invece un significato assolutamente nuovo. I cristiani non si limitano a credere all’immortalità dell’anima, ma attendono la resurrezione della carne, in seguito alla quale ci sarà la ricomposizione di tutto ciò che costituisce la persona. Il cristiano è fatto per la vita. Cristo è venuto per restituire la vita eterna che era stata tolta all’uomo, sul quale dominava la morte a causa del peccato di Adamo. Cristo è venuto per eliminare il peccato originale e la morte, che ne era una conseguenza. Per questo motivo il vero culto reso a Dio consiste nel promuovere quello che Cristo ha dato, cioè la vita. Dato che la vita dell’uomo è costituita indubbiamente da una “vita” fisica, materiale, ma anche da una “vita” intellettuale, di relazione e, innegabilmente, anche dalla “vita” soprannaturale (l’uomo, infatti, non può mai negare quell’anelito di eternità che fa parte della sua natura e che lo rende creatura per il trascendente e non solo per la storia), il cristiano è chiamato a promuovere tutto questo fascio di “vite” che costituiscono la sua persona. Questo è il vero significato di sacrificio vivente, cioè di offerta della propria persona, della propria storia, del proprio tempo per la testimonianza e la promozione della vita eterna.

▫ Santo e gradito a Dio: il libro del Levitico usa il terminesanto contrapponendolo a

profano («Non bevete vino o bevanda inebriante, né tu né i tuoi figli, quando dovete entrare nella tenda del convegno, perché non moriate. Sarà una legge perenne, di generazione in generazione. Questo perché possiate distinguere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è impuro da ciò che è puro» Lv, 10, 9-10). Il termine impuro si può tradurre anche con la parola immondo, mentre il termine puro può anche essere tradotto con il termine mondo. Nella nostra concezione, santo si oppone a peccatore. Nella concezione biblica, invece, santo si oppone a profano. Santo e profano sono un binomio che vive per opposizione, si tratta cioè di una antitesi. In termine tecnico è binomiale antitetico. Procedendo nella lettura del versetto ne troviamo un altro: puro- impuro. I due binomiali usati in questo passo biblico formano un parallelismo sinonimico di tipo chiasmatico: compreso, cioè, il significato di impuro, per antitesi, si comprende il significato di puro e per parallelismo anche il significato di santo.

Nel mondo orientale con il termineimpuro si indicava la persona affettada malattia, cioè priva del flusso vitale che pervadeva chi era sano; impuro, ad esempio, era chi perdeva sangue; l’emorroissa del racconto evangelico era impura; il lebbroso era impuro; il cadavere era impuro. Se una persona sana, e quindi pura, toccava o veniva toccato da qualcuno che era impuro, l’impurità gli veniva trasmessa.

Dio, invece, è tre volte santo, è tre volte pieno di vita e, quindi, se tocca o viene toccato dall’impuro,  è  quest’ultimo  che  guadagna  la  vita  e  cessa  di  essere  immondo.


 

 

L’emorroissa tocca Gesù e viene guarita. In casa di Giairo Gesù tocca la figlia morta del capo della sinagoga e la bambina torna in vita (Talità kum). Gesù restituisce alla figlia di Giairo la vita che questa bambina non aveva più. Cristo, quindi, essendo Dio, trasmette la vita agli altri, elimina le impurità senza esserne contaminato.

I cristiani, in forza del battesimo, sono una cosa sola con Cristo e, perciò, l’offerta cultuale che sono chiamati a rendere a Dio è costituita dalla promozione della vita che è in ognuno di loro e, allo stesso tempo, anche dalla propagazione della forza contaminante di vita che deve essere espressa verso gli altri.

Santo, quindi, vuol dire che promuove la vita, sia dentro se stesso, sia verso gli altri. Questo, dunque, è il significato di culto santo e gradito a Dio.

▫  è questo il vostro culto spirituale: il termine originalegreco logikos (λογικός), che oggi

vienetradotto in italianocon la parola spirituale, nelle precedenti traduzioni veniva

invece reso con razionale. Logikos, quindi, può significare sia culto razionale che spirituale, ma può essere tradotto anche con un altro significato: secondo il Logos, cioè secondo la Parola. Questa parte di versetto, allora, assume un significato ancora più pieno: è questo il vostro culto secondo Gesù Cristo.

 

Dall’esame di questobreve passo dellalettera ai Romanirisulta con maggiorchiarezza che il culto accompagna tutta la vita del cristiano. È bene, comunque, tener presente che la Sacrosanctum Concilium disciplina esclusivamente la Liturgia e non anche il culto.

 

Nella celebrazione il protagonista primo è Dio. Dalla lettura di Sacrosanctum Concilium 7, che considera la liturgia come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo, è evidente, quindi, che nessun cristiano può appropriarsi della liturgia, poiché questa è espressione del CorpoMistico di Gesù Cristo, cioè del capo e dellesue membra unite.Non è possibile pensare a una liturgia solamente dell’uomo, che si appropria dei riti e delle preci, privandola così di senso ed effetto. La liturgia, quindi, è esercizio di Cristo – capo – e della sua Chiesa – le membra.

 

  1. La presenzadi Cristo nella Liturgia

Sacrosanctum Concilium 7, oltre a dare una definizione di Liturgia, nella sua prima parte definisce con chiarezza e per la prima volta nella storia della Chiesa che Cristo è certamente presente nelle azioni liturgiche soprattutto sotto le specie eucaristiche, ma è parimenti presente – e questa è una novità rispetto al pensiero preconciliare – sia nella persona del ministro – che agisce in persona Christi capitis – sia nei sacramenti, sia nella sua Parola – che viene proclamata dal lettore che, dunque, presta la sua voce a Dio e, pertanto, deve essere adeguatamente preparato a svolgere questo ministero molto delicato – e anche nell’assemblea.

«Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, “offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti”, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (Mt 18,20)». (SC 7)

 

  1. Liturgia, culminee fonte della vita dellaChiesa


 

 

La liturgia santifica gli uomini e costituisce il culmine e la fonte, punto di partenza e di arrivo, della vita cristiana. Attraverso la liturgia il cristiano rende lode a Dio nella Chiesa e, nutrito dei sacramenti pasquali, è spinto a vivere in perfetta unione con tutti i fedeli e a esprimere nella vita quanto ha ricevuto mediante la fede.

«Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei «sacramenti pasquali», a vivere “in perfetta unione”;prega affinché “esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede”». (SC 10)

La definizione di Sacrosanctum Concilium 10 è molto bella ma, al tempo stesso, indica una direzione e un compito determinato e particolarmente delicato. La formulazione pur affascinante del testo chiama direttamente all’impegno di vita: alla celebrazione si deve giungere preparati spiritualmente e dalla celebrazione deriva un impegno morale e di vita a testimoniare nella propria storia e nella propria quotidianità la fede in Cristo Signore e Salvatore. Nel partecipare alla Messa e nel ricevere la Comunione il fedele risponde con la parola Amen. Ognuno deve essere consapevole che con quella semplice parola testimonia pubblicamente la sua adesione e il suo impegno a seguire Cristo, a vivere come Cristo. Certamente si tratta di un impegno individuale, ma al tempo stesso si costituisce anche un impegno intellettuale e di coscienza per tutta la comunità cristiana che si preparaall’incontro con il Signore nella Liturgia e che da questo incontro esce rinnovata con l’impegno morale e personale per la vita.

 

La liturgia, dunque, tende sempre verso due direzioni: quella verticale (verso Dio) e quella orizzontale (verso la storia).

 

  1. L’ordinamento liturgico compete alla Chiesa

Sacrosanctum Concilium indica chiaramente che l’ordinamento liturgico non può essere modificato secondo il senso comune delle persone, siano queste fedeli o sacerdoti. Possono intervenire sulla sacra Liturgia solamente il Papa oppure, nei limiti posti dal diritto, il vescovo e le assemblee episcopali territoriali legittimamente costituite. La liturgia è una unità armonica di riti e preghiere che appartiene a tutta la comunità nella sua interezza e che non può essere rotta, dunque, da improvvisazioni o da interpretazioni personali.

  1. «Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede apostolica e, a norma del diritto, nel vescovo.
  2. In base ai poteri concessidal diritto, regolarela liturgia spetta,entro limiti determinati, anche alle competenti assemblee episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite.
  3.       Di conseguenza assolutamente nessun altro,anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica» (SC, 22).

 

 

 

  1. Presenza della Bibbianella Liturgia

La scrittura è l’anima di tutta la Liturgia. All’interno della Liturgia, infatti, tutto è Bibbia: nella celebrazione è presente una Bibbia con contatto immediato (letture e salmi), piccole parti di brani biblici opportunamente predisposti (l’eucologia) e una Bibbia mimata, cioè tradotta in azione (i gesti e i simboli).

«Nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell'omelia e i salmi che si cantano; del suo afflatoe del


 

 

suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici» (SC, 24).

Per avere una giusta considerazione di quanto sia presente la Bibbia in ogni momento della celebrazione liturgica, può essere utile proporre una considerazione esemplificativa. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù Risorto, nella sua prima manifestazione ai discepoli, si rivolge loro dicendo:«Pace a voi!» (Gv 20, 19) e, dopo aver mostrato le mani e il fianco dice nuovamente: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20, 21). Nella celebrazione, prima dell’Agnus Dei, l’assemblea è invitata a scambiarsi il segno della pace. Questo gesto, che l’assemblea esegue in ogni Messa, non deriva da una necessità antropologica di inserire nella liturgia una forma di contatto fisico tra gli uomini, ma è proprio la ripetizione del saluto che Gesù risorto ha indirizzato ai discepoli. Ogni cristiano, quindi, è chiamatoad annunciare al suo prossimoil saluto che Gesù risortoha rivolto ai suoi.Con il segno della pace si scambial’annuncio di fede in Cristo risorto, annuncio inserito e testimoniato nellaSacra Scrittura, e al tempostesso annuncio che diviene professione di fede nella vita dei fedeli.

Questo è solamente un esempio che rende evidente,però, che la radice profondadella liturgia, di ogni suo gesto, di ogni sua parola, è di derivazione biblica.

 

La liturgia, quindi, veicola la Parola di Dio; anche attraverso differenti forme culturali che si sono manifestate nella storia e in diverse zone geografiche. Ad esempio, l’utilizzo di diversi abiti liturgici previsto dai riti in relazione alle differenti civiltà e culture, rappresenta una realtà celebrativa strumentale – che, però, è transeunte – atta a veicolare la Parola di Dio – che, invece, è perpetua.

 

Il rapporto inscindibile che lega la Liturgia alla Parola di Dio risulta evidente in tutta la sua forza e ampiezza dall’analisi della struttura della celebrazione eucaristica, costituita da una Liturgia della Parola e da una Liturgia del Segno. La Sacra Scrittura, quindi, è l’anima di tutta la liturgia, poiché da essa prendono significato le azioni e i simboli liturgici, a loro volta radicati sulla Parola di Dio. La relazione esistente tra Parola di Dio e rito èinseparabile. Il profondo rapporto esistente tra Sacra Scrittura e Liturgia è riscontrabile in ogni celebrazione sacramentale. Per la celebrazione di ogni sacramento, infatti, vi è sempre l’unione tra liturgia della parola e liturgia del segno.

 

  1. La Liturgia si esprime attraverso preghiere e riti intimamente connessi

Nella liturgia non è possibile separare le parole dai gesti, poiché questi due momenti sono intimamente connessi tra loro e, nella loro unità, rendonosignificato al misterocelebrato (cfr SC 35 e SC 48).

 

Gesù stesso esprimeva la sua divinità e spiegava il suo mistero attraverso parole e gesti: due elementi così intimamente uniti da essere inseparabili. Si pensi, ad esempio, alla guarigione del paralitico narrata da Marco nel suo Vangelo. Gesù si trova a Cafàrnao ed è all’interno di una casa. Mentre annuncia la Parola si raduna una folla davanti all’abitazione. Quattro persone che sorreggono un paralitico, non riuscendo a entrare nella casa, scoperchiano il tetto e calano la barella davanti a Gesù. Gesù, vedendo la fede di quelle persone, rivolgendosi al paralitico gli dice: «Figlio ti sono rimessi i peccati». Gli scribi si scandalizzano perché pensano che solo Dio può perdonare i peccati. Gesù allora guarisce il paralitico e mostra la sua natura divina.


 

 

« [Gesù] entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”. Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?”. E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Alzati, prendi la tua barella e cammina"? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: alzati, prendi la tua barella e va' a casa tua”. Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”». (Mc 2,1-12)

 

 

 

Ciò che compie Gesù è una teofania; Egli cioè mostra di essere Dio, poiché dimostra di avere il potere di perdonare i peccati e guarire gli ammalati. Gesù rivela la sua natura divina attraverso le parole (Ti sono perdonati i peccati. Alzati, prendi la tua barella e torna a casa) e i fatti (la guarigione miracolosa) intimamente connessi. È impossibile separare le parole dai gesti, poiché una cosa spiega l’altra: il fatto miracoloso chiarisce il senso delle parole e le parole spiegano il miracolo. Questa intima connessione si verifica anche nella Liturgia, dove il rito chiarisce il significato delle parole e viceversa.

 

La correlazione di riti e preghiere è elemento indispensabile nella Liturgia, tanto che in assenza della compresenza di parola e gesto non c’è esperienza di Cristo risorto. La Liturgia agisce attraverso gesti e parole, non perché questi siano la risposta a un bisogno antropologico avvertito dall’uomo che, quindi, lo replica all’interno di una celebrazione costituita secondo le sue esigenze e aspettative, ma perché il mistero di Cristo risorto si può avvicinare, gustare, conoscere e sperimentare solamente attraverso l’unione inseparabile di riti e preghiere.

 

 

  • BREVI CENNI DI STORIALITURGICA 

La Liturgia cristiana nasce all’interno della comunità apostolica e, dunque, originariamente è celebrata in aramaico. Nei primi tempi la comunità si riuniva per la frazione del pane all’interno di abitazioni private. La celebrazione aveva luogo la sera tra il sabato e il giorno successivo, il primo giorno della settimana che, inizialmente, era una giornata lavorativa. Solamente nel IV secolo il giorno del Signore diventa festivo. L’uso della lingua greca e probabilmente anche il pasto comunitario erano una caratteristica delle comunità fondate dall’Apostolo Paolo il quale, però, ben presto separa il pasto dall’Eucaristia, a causa del fatto che durante la cena comune che aveva luogo prima della frazione del pane le persone abbienti si nutrivano, mentre i poveri rimanevano nel loro digiuno. Paolo ammonisce la comunità di Corinto – che rimaneva nell’egoismo negandosi l’amore vicendevole mentre celebrava il sacramento della carità di Cristo, che ha offerto se stesso per la salvezza degli uomini – e vieta la pratica del pasto comunitario durante la celebrazione dell’Eucaristia (cfr. 1Cor 11, 17-34). 

 

Con il diffondersi del cristianesimo al di fuori della Palestina nascono nuovi riti con cui le comunità esprimono il culto e celebrano l’Eucaristia. Le comunità di Damasco e in tutta la


 

 

 

Mesopotamia c

elebrano, così, in rito siriaco, mentre ad Alessandria d’Egitto c’è il rito copto.

Grazie alla predicazione di sant’Agostino sappiamo che nell’Africa romana si celebrava con riti propri (rito di Ippona). Nei Balcani si forma il rito slavo, mentre le comunità della Turchia e della Grecia celebrano in rito greco. In Spagna inizialmente si forma il rito visigotico e successivamente, con la dominazione musulmana, si costituisce il rito mozarabico. In Francia si forma il rito gallicano, mentre in Italia abbiamo una pluralità di famiglie liturgiche: nella parte meridionale venivano celebrati il rito di Capua e il rito beneventano, al centro vi era il rito romano e, a nord della penisola, vi erano i riti ravennate, patriarchino o aquileiese, ambrosiano e aostano. 

 

Inizialmente la lingua liturgica del rito romano non è il latino, ma il greco. Tra il IV e V secolo san Girolamo, su incarico di papa DamasoI, usando i testi in lingua ebraicae aramaica, quelliin greco della versione dei LXX e quelli della Vetus latina (unaprima traduzione eseguitain Africa nel II secolo d.C.) realizza una traduzione della Bibbia in lingua latina. Lo stile di san Girolamo, particolarmente semplice e comprensibile anche per il popolo e al tempo stesso molto fedele ai testi originali, fu talmente rivoluzionario che la sua traduzione della Bibbia, chiamata Vulgata, è stata utilizzata dalla Chiesa Cattolica fino a tutto il XX secolo. 

 

Nel IX secolo Carlo Magno opera la prima grande riforma liturgica della cristianità occidentale imponendo, di fatto, il Rito Romano come rito liturgico di tutto il Sacro Romano Impero. L’idea di Carlo Magno era quella di favorire l’unificazione dei territori dell’impero anche attraverso l’unificazione dei diversi riti liturgici celebrati nei differenti paesi. In realtà questo processo di uniformità richiederà diversotempo per poteressere attuato a causa delleresistenze esercitate da parte di alcuni paesi che non erano intenzionati ad abbandonare i riti che rappresentavano la storia, la tradizione e l’espressione della fede difesa anche con il sangue dai martiri. Il processo di unificazione dei differenti riti liturgici sarà gradualmente portato a termine nel corso dei secoli successivi. Il Concilio di Trento, in particolare, stabilì la soppressione di tutti quei riti occidentali che non potevano vantare un'antichità di almeno duecento anni. Sopravvisserosolamente il rito romano, il rito ambrosiano (proprio dell’Arcidiocesi di Milano), il rito mozarabico (celebrato quasi esclusivamente nella cattedrale e in due parrocchie di Toledo, in Spagna) e il rito di Braga (oggi lo si celebra,in via facoltativa, esclusivamente nell'arcidiocesi di Braga, in Portogallo). 

 

Carlo Magno, dunque, fu autore di una prima grande riforma liturgica che venne seguita nel corso dei secoli successivi da pochissimi altri grandi interventi: alla fine del XI secolo vi è la riforma di papa Gregorio VII (1073-1085), nel XVI secolo quella operata dal Concilio di Trento (1545-1563) e nel XX secolo quella del Concilio Vaticano II (1962-1965). Nella storia della cristianità occidentale, dunque, le riforme incisive in ambito liturgico sono state solamente quattro. 

 

 

  • I PRINCIPALI LIBRI LITURGICI

Nelle celebrazioni liturgiche della Chiesa nascente non esistevano i libri liturgici recanti la struttura del rito e la parte eucologica. Le testimonianze storiche sulle prime celebrazioni liturgiche – riportate nella Didachè, nella I Apologia di san Giustino e nella TradizioneApostolica – riferiscono che il celebrante, cioè colui che presiedeva l’assemblea (il praepositus, come lo chiama Giustino) recitava una Preghiera eucaristica «secondo la sua capacità». 


 

 

Con la diffusione del cristianesimo si iniziò a percepire la necessità di uniformare le modalità celebrative, al fine di rendere i riti espressione della preghiera comune della Chiesa ovunque questa fosse riunita. Durante i concili di Ippona (393 d.C) e Cartagine (397 d.C.), dunque, proprio al fine di dare uniformità alle celebrazioni, venne stabilito che la liturgia doveva esserecelebrata con l’uso di testi scritti dai quali il celebrante doveva attingere la struttura, le letture ela parte eucologica. I vescovi spagnoli furono molto severi nel disciplinare l’unità celebrativa,tanto che vincolarono il presbiterio a utilizzare esclusivamente i testi rituali e negarono financhela possibilità di predicare. Con l’intento di uniformare anche la predicazione, infatti, i vescovi spagnoli composero prefazi molto lunghi, denominati contestationes, i quali praticamente sostituivano l’omelia del sacerdote. 

 

I più antichi testi liturgici conosciuti per il rito romano, sono dell’inizio del VI secolo e si chiamano sacramentari. Il testo più antico in assoluto è il Sacramentario Veronense o Leoniano, che contiene i testi eucologici per la celebrazione dell'Eucaristia per tutto l'anno liturgico e i rituali per la dedicazione delle chiese, per la consacrazione dei vescovi, per l'ordinazione di diaconi e presbiteri, per la consacrazione delle vergini e la benedizione solenne degli sposi. In tutto, il Sacramentario Veronense raccoglie trecento formulari di messe. Ne esiste un solo esemplare conservato nella Biblioteca Capitolare di Verona. 

 

Il secondo testo liturgico per antichità è il Sacramentario Gelasiano Antico (Gelasianum Vetus), databile tra la fine del VI secolo e gli inizi del VII, che contiene i testi per la celebrazione dell'Eucaristia in tutto l'anno liturgico. Ne esiste un solo esemplare, custodito nella Biblioteca Vaticana. Il Gelasianum Vetus era utilizzato dai presbiteri. 

 

Una terza serie di sacramentari ha origine dal fatto che il Gelasiano, come altri Sacramentari, fu ben presto portato oltralpe e trascritto con alcune aggiunte e arricchimenti espressi dalla tradizione in uso nelle Chiese locali. Da queste fusioni sono derivati i cosiddetti sacramentari gelasiano-franchi dell'VIII secolo. 

 

Altro Sacramentario è il Gregoriano, databile al VII secolo, pervenuto attraverso molti manoscritti. Il Gregoriano è il Sacramentario del tempo della riforma di Carlo Magno che, intenzionato a unificare il suo impero, volle adottare il rito romano quale unica liturgia comunea tutti i territori conquistati. Il Gregoriano è un sacramentario papale, utilizzato, cioè, nellecelebrazioni presiedute dal pontefice e dai vescovi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra il VI e VII secolo si iniziano ad usare i grandi lezionari. I primi esemplari noti sono il Grande Lezionario di Murbach (VIII – IX secolo), di Würzburg (VIII secolo) e l’anticopalinsesto del Lezionario di Wolfenbüttel (VI – VII secolo). 

 

Nella fase successiva iniziano a essere prodotti anche i primi messali plenari che, a differenza dei sacramentari che avevano solamente la parte eucologica, contenevano anche le letture bibliche per la celebrazione. 

 

  • NOZIONI ESSENZIALI DI TEOLOGIA LITURGICA 

La teologia dogmatica tratta i temi principali della fede cristiana esposti in forma sistematica. Si occupa, dunque, di analizzare e spiegare tutti i pronunciamenti che il magistero della Chiesa ha fatto nel corso della storia per correggere gli errori sulle questioni fondamentali oggetto di fede. La teologia dogmatica si fonda sui dogmi, cioè sui principi fondamentali del credere e, dunque,


 

 

 

non esprime tut

ta la fedecristiana, poiché analizza solamente i fondamenti della fede e le

questioni che nella storia della cristianità sono state oggetto di controversia. La teologia liturgica, invece, il cui compitonon è quello di fornirerisposte alle spinteeretiche o scismatiche, ovvero di difendere l’ortodossia nelle controversie teologiche, esprime, di fatto, tutta la fede in atto. Attraverso la conoscenza, l’approfondimento, lo studio di tutti i testi liturgici e dei riti espressi, infatti, è possibile ottenere la sintesi di tutta la fede della Chiesa.

IL CULTO NELLA BIBBIA

                                                08 marzo 2025 Chiesa Anglo Cattolica d’Europa Diocesi di Roma

LEZIONE AL CORSO DI LITURGIA PER LA PASTORALE

Mons. Jhoseph

 

 

IL CULTO nella BIBBIA

 

In principio fu…il GRIDO  (Es 2,23-25) 

 

“Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero”.

 

Il rapporto con Dio matura verso una vera e propria fede quando Israele è schiavo in Egitto, ha perduto la libertà e rischia di estinguersi come popolo a causa dell’uccisione dei suoi figli maschi. Allora Israele grida verso il cielo nella speranza che un Dio venga a salvarlo. Una supplica che trova il suo effetto: Dio ascolta il suo grido e scende a liberarlo con l’intenzione di condurlo nella Terra Promessa. Ciò avverrà per mezzo di Mosè che lo condurrà fuori dall’Egitto e lo porterà sul monte Sinai. Lì il Signore stabilirà una alleanza con loro.    

 

…. All’Alleanza (Esodo 19,1-6): 

 

1 Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. 2 Levato l'accampamento da Refidim, arrivarono al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. 3 Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: 4 Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. 5 Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! 6 Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Queste parole dirai agli Israeliti».

La proposta dell’Alleanza viene accolta dagli anziani (una specie di “senatori”) e da tutto il popolo: il Dio dei loro padri (Abramo, Isacco, Giacobbe) donerà loro una dignità e una identità, li riscatterà dalla morte, dalla schiavitù, dallo sterminio. Israele sarà una “nazione santa”, legata al suo Dio in maniera affatto particolare, sarà il luogo sulla terra dove Dio porrà la Sua Dimora.

Il LUOGO del CULTO: il monte, la Tenda, il Tempio e la Casa.

Il MONTE SION (Es 19,16-19) 

16Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell'accampamento fu scosso da tremore. 17Allora Mosè fece uscire il popolo dall'accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. 18Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. 19Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.

Sul monte Sione abita Yhwh, quel Dio che diventa l’Alleato di Israele. Il popolo dovrà comportarsi, alle falde di quel monte, come in un luogo sacro, seguendo regole di comportamento che lo mantengano puro, poiché esso è dimora di Dio che è la Purità assoluta. 

“Mosè riferì al Signore le parole del popolo. 10Il Signore disse a Mosè: "Va' dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti 11e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo. 12Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: "Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. 13Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o colpito con tiro di arco. Animale o uomo, non dovrà sopravvivere". Solo quando suonerà il corno, essi potranno salire sul monte". 14Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece santificare il popolo, ed essi lavarono le loro vesti. 15Poi disse al popolo: "Siate pronti per il terzo giorno: non unitevi a donna" (Es 19,9-15).

3.Il SOGGETTO del CULTO: 

Tutto il POPOLO è SACERDOTALE (Es 19,6) poi ci sono delle persone speciali, una famiglia (i leviti), una classe di sacerdoti che viene adibita al “ministero”: Es 19,22-24:

22Anche i sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si santifichino, altrimenti il Signore si avventerà contro di loro!". 23Mosè disse al Signore: "Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertito dicendo: "Delimita il monte e dichiaralo sacro"". 24Il Signore gli disse: "Va', scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il popolo non si precipitino per salire verso il Signore, altrimenti egli si avventerà contro di loro!".

4.Il SIGNIFICATO del CULTO: celebrare l’ALLEANZA. Il più importante atto di culto è il SACRIFICIO: Es 24,4-11 

4Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. 5Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. 6Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. 7Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: "Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto". 8Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: "Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!". 9Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d'Israele. 10Essi videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro, limpido come il cielo. 11Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero”

Le leggi dei sacrifici nel libro del LEVITICO: Lv 1,1-17

1Il Signore chiamò Mosè, gli parlò dalla tenda del convegno e disse: 2«Parla agli Israeliti dicendo: “Quando uno di voi vorrà presentare come offerta in onore del Signore un animale scelto fra il bestiame domestico, offrirete un capo di bestiame grosso o minuto. 3Se la sua offerta è un olocausto di bestiame grosso, egli offrirà un maschio senza difetto; l’offrirà all’ingresso della tenda del convegno, perché sia accetto al Signore in suo favore. 4Poserà la mano sulla testa della vittima, che sarà accettata in suo favore per compiere il rito espiatorio per lui. 5Poi scannerà il giovenco davanti al Signore, e i figli di Aronne, i sacerdoti, offriranno il sangue e lo spargeranno intorno all’altare che è all’ingresso della tenda del convegno. 6Scorticherà la vittima e la taglierà a pezzi. 7I figli del sacerdote Aronne porranno il fuoco sull’altare e metteranno la legna sul fuoco; 8poi i figli di Aronne, i sacerdoti, disporranno i pezzi, la testa e il grasso sulla legna e sul fuoco che è sull’altare. 9Laverà con acqua le viscere e le zampe; poi il sacerdote brucerà il tutto sull’altare come olocausto, sacrificio consumato dal fuoco, profumo gradito in onore del Signore.

10Se la sua offerta per l’olocausto è presa dal bestiame minuto, tra le pecore o tra le capre, egli offrirà un maschio senza difetto. 11Lo scannerà al lato settentrionale dell’altare, davanti al Signore. I figli di Aronne, i sacerdoti, spargeranno il sangue attorno all’altare. 12Lo taglierà a pezzi, con la testa e il grasso, e il sacerdote li disporrà sulla legna, collocata sul fuoco dell’altare. 13Laverà con acqua le viscere e le zampe; poi il sacerdote offrirà il tutto e lo brucerà sull’altare: è un olocausto, sacrificio consumato dal fuoco, profumo gradito in onore del Signore.

14Se la sua offerta in onore del Signore è un olocausto di uccelli, presenterà tortore o colombi. 15Il sacerdote presenterà l’animale all’altare, ne staccherà la testa, la farà bruciare sull’altare e il sangue sarà spruzzato sulla parete dell’altare. 16Poi toglierà il gozzo con il suo sudiciume e lo getterà al lato orientale dell’altare, dov’è il luogo delle ceneri. 17Dividerà l’uccello in due metà prendendolo per le ali, ma senza staccarle, e il sacerdote lo brucerà sull’altare, sulla legna che è sul fuoco. È un olocausto, sacrificio consumato dal fuoco, profumo gradito in onore del Signore.

 

Perché i SACRIFICI?

Essi erano TIPICI dei popoli stranieri (cananei, egiziani, greci, ecc.) in una logica religiosa mercantile di DO UT DES. Si facevano anche sacrifici umani che, però, il Dio di Israele, RIGETTA (cf. Gen 22; Ger 19). I sacrifici vengono giustificati come prezzo del RISCATTO: dalla morte dei primogeniti (con cui Dio li salva dalla morte di Faraone) al riscatto da parte dei figli dei Leviti, al “sacrificio sostitutivo” di quello umano con il sacrificio dell’animale.

5.Il FINE del CULTO: la santità di Israele (= essere unito al suo Dio nell’amore e nell’osservanza della Legge e nella fedeltà all’Alleato, espressa e celebrata con gli atti di culto) 

“Siate santi come io sono santo” (Lv 19,1) = SANTI come “separati”, popolo eletto di Dio, che si distacca dagli altri popoli perché osserva le leggi di purità prescritte da Dio. Israele è santo perché Dio gli ha concesso di vivere nella TERRA ROMESSA, vale a dire nel Paese che il “SANTO” (= YHWH) ha dato gratuitamente in usufrutto a tutte le tribù dei figli di Israele. Israele è il POPOLO SANTO perché la sua TERRA è SANTA; ciò è stabilito nella legge del Giubileo che deve essere osservata: 

Anno sabbatico e anno giubilare: Lv 25

La legge dell’anno sabbatico per celebrare la signoria di Dio sui frutti della terra: 

251 Il Signore parlò a Mosè sul monte Sinai e disse: 2"Parla agli Israeliti dicendo loro: "Quando entrerete nella terra che io vi do, la terra farà il riposo del sabato in onore del Signore: 3per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; 4ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore. Non seminerai il tuo campo, non poterai la tua vigna. 5Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dopo la tua mietitura e non vendemmierai l'uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la terra. 6Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e all'ospite che si troverà presso di te; 7anche al tuo bestiame e agli animali che sono nella tua terra servirà di nutrimento quanto essa produrrà.

 

L’anno giubilare è istituito per celebrare che la terra è di Dio e dev’essere resa in USUFRUTTO a TUTTI, pertanto si debbono CONDONARE i debiti, AFFRANCARE gli schiavi che lo sono divenuti per debito) e RESTITUIRE e ridistribuire le TERRE a chi le ha perdute.  

8Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. 9Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell'espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. 10Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. 11Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. 12Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi.13In quest'anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà. 

 

18Metterete in pratica le mie leggi e osserverete le mie prescrizioni, le adempirete e abiterete al sicuro nella terra (...)  23Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti. 24Perciò, in tutta la terra che avrete in possesso, concederete il diritto di riscatto per i terreni.

Il GIUBILEO della FRATELLANZA (anche con gli stranieri)

25Se il tuo fratello cade in miseria e vende una parte della sua proprietà, colui che ha il diritto di riscatto, cioè il suo parente più stretto, verrà e riscatterà ciò che il fratello ha venduto. 26Se uno non ha chi possa fare il riscatto, ma giunge a procurarsi da sé la somma necessaria al riscatto, 27conterà le annate passate dopo la vendita, restituirà al compratore il valore degli anni che ancora rimangono e rientrerà così in possesso del suo patrimonio. 28Ma se non trova da sé la somma sufficiente a rimborsarlo, ciò che ha venduto rimarrà in possesso del compratore fino all'anno del giubileo; al giubileo il compratore uscirà e l'altro rientrerà in possesso del suo patrimonio (…)
35Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è inadempiente verso di te, sostienilo come un forestiero o un ospite, perché possa vivere presso di te. 

IL DIVIETO dell’USURA: 

36Non prendere da lui interessi né utili, ma temi il tuo Dio e fa' vivere il tuo fratello presso di te. 37Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura. 38Io sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, per darvi la terra di Canaan, per essere il vostro Dio.39Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; 40sia presso di te come un bracciante, come un ospite. Ti servirà fino all'anno del giubileo; 41allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri. 42Essi sono infatti miei servi, che io ho fatto uscire dalla terra d'Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi. 43Non lo tratterai con durezza, ma temerai il tuo Dio.

IL GIUBILEO DEI FORESTIERI:

47Se un forestiero stabilito presso di te diventa ricco e il tuo fratello si grava di debiti con lui e si vende al forestiero stabilito presso di te o a qualcuno della sua famiglia, 48dopo che si è venduto ha il diritto di riscatto: lo potrà riscattare uno dei suoi fratelli 49o suo zio o il figlio di suo zio; lo potrà riscattare uno dei consanguinei della sua parentela o, se ha i mezzi per farlo, potrà riscattarsi da sé.  55Poiché gli Israeliti sono miei servi; essi sono servi miei, che ho fatto uscire dalla terra d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.

6.La PREGHIERA: i SALMI 

La grandezza/bellezza/unicità del “nostro” Dio nel creato, nella storia, nella misericordia, nel perdono, ed anche nella FIDUCIA dell’orante; Dio “roccia” della salvezza di un popolo oppresso, violato, rifiutato.. e Gerusalemme la sua città… (i Salmi graduali). Non manca tuttavia nei Salmi il desiderio di vendetta contro i nemici dell’Israelita…

7.Le FESTE ebraiche e il culto nelle stagioni e nella storia: Lv 23-24 

Levitico 23

1 Il Signore disse ancora a Mosè: 2 «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Ecco le solennità del Signore, che voi proclamerete come sante convocazioni. Queste sono le mie solennità.
3 Durante sei giorni si attenderà al lavoro; ma il settimo giorno è sabato, giorno di assoluto riposo e di santa convocazione. Non farete in esso lavoro alcuno; è un riposo in onore del Signore in tutti i luoghi dove abiterete.4 Queste sono le solennità del Signore, le sante convocazioni che proclamerete nei tempi stabiliti. 5 Il primo mese, al decimoquarto giorno, al tramonto del sole sarà la pasqua del Signore; 6 il quindici dello stesso mese sarà la festa degli azzimi in onore del Signore; per sette giorni mangerete pane senza lievito. 7 Il primo giorno sarà per voi santa convocazione; non farete in esso alcun lavoro servile; 8 per sette giorni offrirete al Signore sacrifici consumati dal fuoco. Il settimo giorno vi sarà la santa convocazione: non farete alcun lavoro servile». 9 Il Signore aggiunse a Mosè: 10 «Parla agli Israeliti e ordina loro: Quando sarete entrati nel paese che io vi dò e ne mieterete la messe, porterete al sacerdote un covone, come primizia del vostro raccolto; 11 il sacerdote agiterà con gesto rituale il covone davanti al Signore, perché sia gradito per il vostro bene; il sacerdote l'agiterà il giorno dopo il sabato. 12 Quando farete il rito di agitazione del covone, offrirete un agnello di un anno, senza difetto, in olocausto al Signore. 13 L'oblazione che l'accompagna sarà di due decimi di efa di fior di farina intrisa nell'olio, come sacrificio consumato dal fuoco, profumo soave in onore del Signore; la libazione sarà di un quarto di hin di vino. 14 Non mangerete pane, né grano abbrustolito, né spighe fresche, prima di quel giorno, prima di aver portato l'offerta al vostro Dio. È una legge perenne di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete.
15 Dal giorno dopo il sabato, cioè dal giorno che avrete portato il covone da offrire con il rito di agitazione, conterete sette settimane complete. 16 Conterete cinquanta giorni fino all'indomani del settimo sabato e offrirete al Signore una nuova oblazione. 17 Porterete dai luoghi dove abiterete due pani per offerta con rito di agitazione, i quali saranno di due decimi di efa di fior di farina e li farete cuocere lievitati; sono le primizie in onore del Signore. 18 Oltre quei pani offrirete sette agnelli dell'anno, senza difetto, un torello e due arieti: saranno un olocausto per il Signore insieme con la loro oblazione e le loro libazioni; sarà un sacrificio di soave profumo, consumato dal fuoco in onore del Signore. 19 Offrirete un capro come sacrificio espiatorio e due agnelli dell'anno come sacrificio di comunione. 20 Il sacerdote agiterà ritualmente gli agnelli insieme con il pane delle primizie come offerta da agitare davanti al Signore; tanto i pani, quanto i due agnelli consacrati al Signore saranno riservati al sacerdote. 21 In quel medesimo giorno dovrete indire una festa e avrete la santa convocazione. Non farete alcun lavoro servile. È una legge perenne, di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete. 22 Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino al margine del campo e non raccoglierai ciò che resta da spigolare del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, il vostro Dio». 23 Il Signore disse a Mosè: 24 «Parla agli Israeliti e ordina loro: Nel settimo mese, il primo giorno del mese sarà per voi riposo assoluto, una proclamazione fatta a suon di tromba, una santa convocazione. 25 Non farete alcun lavoro servile e offrirete sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore».
26 Il Signore disse ancora a Mosè: 27 «Il decimo giorno di questo settimo mese sarà il giorno dell'espiazione; terrete una santa convocazione, vi mortificherete e offrirete sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore. 28 In quel giorno non farete alcun lavoro; poiché è il giorno dell'espiazione, per espiare per voi davanti al Signore, vostro Dio. 29 Ogni persona che non si mortificherà in quel giorno, sarà eliminata dal suo popolo. 30 Ogni persona che farà in quel giorno un qualunque lavoro, io la eliminerò dal suo popolo. 31 Non farete alcun lavoro. È una legge perenne di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete. 32 Sarà per voi un sabato di assoluto riposo e dovrete mortificarvi: il nono giorno del mese, dalla sera alla sera dopo, celebrerete il vostro sabato». 33 Il Signore aggiunse a Mosè: 34 «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Il quindici di questo settimo mese sarà la festa delle capanne per sette giorni, in onore del Signore. 35 Il primo giorno vi sarà una santa convocazione; non farete alcun lavoro servile. 36 Per sette giorni offrirete vittime consumate dal fuoco in onore del Signore. L'ottavo giorno terrete la santa convocazione e offrirete al Signore sacrifici consumati con il fuoco. È giorno di riunione; non farete alcun lavoro servile. 37 Queste sono le solennità del Signore nelle quali proclamerete sante convocazioni, perché si offrano al Signore sacrifici consumati dal fuoco, olocausti e oblazioni, vittime e libazioni, ogni cosa nel giorno stabilito, oltre i sabati del Signore, 38 oltre i vostri doni, oltre tutti i vostri voti e tutte le offerte volontarie che presenterete al Signore. 39 Ora il quindici del settimo mese, quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa al Signore per sette giorni; il primo giorno sarà di assoluto riposo e così l'ottavo giorno. 40 Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni. 41 Celebrerete questa festa in onore del Signore, per sette giorni, ogni anno. È una legge perenne di generazione in generazione. La celebrerete il settimo mese. 42 Dimorerete in capanne per sette giorni; tutti i cittadini d'Israele dimoreranno in capanne, 43 perché i vostri discendenti sappiano che io ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho condotti fuori dal paese d'Egitto. Io sono il Signore vostro Dio».
44 E Mosè diede così agli Israeliti le istruzioni relative alle solennità del Signore.

8.La necessità dell’AUTENTICITÀ del CULTO e la CRITICA a un CULTO IPOCRITA 

 

“Voglio l’amore e non il SACRIFICIO”: 

 

Sal 51: 18Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. 19Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

 

1Sam 15, 22Samuele esclamò:
"Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici
quanto l'obbedienza alla voce del Signore?
Ecco, obbedire è meglio del sacrificio,
essere docili è meglio del grasso degli arieti.; 

 

Os 6 4Che dovrò fare per te, Èfraim,
che dovrò fare per te, Giuda?
Il vostro amore è come una nube del mattino,
come la rugiada che all'alba svanisce.
5Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti,
li ho uccisi con le parole della mia bocca
e il mio giudizio sorge come la luce:
poiché voglio l'amore e non il sacrificio,
la conoscenza di Dio più degli olocausti.
7Ma essi come Adamo hanno violato l'alleanza;
ecco, così mi hanno tradito.

Is 1,10ss
10Ascoltate la parola del Signore,
capi di Sòdoma;
prestate orecchio all'insegnamento del nostro Dio,
popolo di Gomorra!
11"Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero?
- dice il Signore.
Sono sazio degli olocausti di montoni
e del grasso di pingui vitelli.
Il sangue di tori e di agnelli e di capri
io non lo gradisco.
12Quando venite a presentarvi a me,
chi richiede a voi questo:
che veniate a calpestare i miei atri?
13Smettete di presentare offerte inutili;
l'incenso per me è un abominio,
i noviluni, i sabati e le assemblee sacre:
non posso sopportare delitto e solennità.
14Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste;
per me sono un peso,
sono stanco di sopportarli.
15Quando stendete le mani,
io distolgo gli occhi da voi.
Anche se moltiplicaste le preghiere,
io non ascolterei:
le vostre mani grondano sangue.
16Lavatevi, purificatevi,
allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni.
Cessate di fare il male,
17imparate a fare il bene,
cercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso,
rendete giustizia all'orfano,
difendete la causa della vedova".

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